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La «Madonna in trono» di Cimabue

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La «Madonna in trono» di Cimabue

Felsina pittrice in 180 opere

Stefano Luppi

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Bologna. Sono molte le novità emerse dalla presentazione alla stampa, ieri 11 febbraio, della mostra «Da Cimabue a Morandi. Felsina pittrice»che inaugura a Palazzo Fava - Palazzo delle Esposizioni venerdì sera con il ministro Dario Franceschini e poi prosegue dal 14 febbraio al 17 maggio. Pur in mezzo a offese e battute feroci verso i critici della rassegna Daniele Benati, Tomaso Montanari, Anna Ottani Cavina, Carlo Ginzburg (ma anche in direzione di Berlusconi e Renzi) e aneddoti di varia umanità il curatore Vittorio Sgarbi ha illustrato un percorso espositivo monstre con 180 tra dipinti e sculture (valore assicurativo, è stato detto in conferenza stampa, almeno 20 miliardi di euro), opere allestite fitte fitte non solo al piano nobile del palazzo dipinto dai Carracci, ma anche nei due piani superiori forse meno adatti a lavori di grande formato.
Ordinati nelle sale ci sono alcuni insigni capolavori dell'arte prodotta a Bologna lungo sette secoli, dalla Madonna dei Servi di Cimabue alla Santa Cecilia di Raffaello fino al San Rocco di Parmigianino su tutti, ma altre opere importantissime, di autori meno noti al grande pubblico, in alcuni casi davvero sorprendenti. Alcuni esempi: Annunciazione del Guercino, Il ratto di Europa di Guido Cagnacci di collezione Molinari Pradelli, La caduta dei giganti di Guido Reni, una Madonna di Giotto in arrivo da una collezione privata di Roma oltre a una manciata di dipinti di proprietà dello stesso curatore tra cui un paesaggio di Mastelletta e il San Domenico di Niccolò dell'Arca. Fino ad esempi di Morandi, Manai, Minguzzi, Vasco Bendini appena scomparso.
«Sono orgoglioso, spiega Sgarbi, di questa rassegna che doveva essere di poche opere, ma poi siamo arrivati a ordinarne180: non si parla solo di capolavori, ma si racconta il tessuto artistico bolognese lungo tutti i secoli con lavori che provengono non solo da musei, chiese e collezioni bolognesi, ma anche dagli Uffizi, da Capodimonte, dalla Sabauda di Torino. Vorrei anche portare in mostra la cornice originale della Santa Cecilia raffaellesca: pochi lo sanno, ma è di Andrea da Formigine ed è conservata alla chiesa di San Giovanni in Monte».
Il colpo di teatro il curatore lo lascia per la fine della sua guida lungo il percorso: «Lo abbiamo anche messo in copertina del catalogo e andrà anche a Milano per l'Expo, dice Sgarbi: l'Allegoria della fortuna assegnata a Giovanni Andrea Sirani che ho richiesto per la mostra all'Accademia di San Luca di Roma durante il restauro si è rivelato essere un Guido Reni sicuro. È stata fortuna, certo, ma serve a difendere una mostra che sarà popolare. Viviamo nella terra del comunismo felice e occorre portare pubblico alle mostre per risvegliare la città».
A quanto ieri asseriva il presidente di Genus Bononiae, l'ente che organizza la rassegna con la collaborazione della Pinacoteca nazionale, dell'Istituzione musei del Comune e di Fondazione Carisbo, Fabio Roversi Monaco l'appuntamento espositivo odierno dovrebbe aprire un ciclo: annunciata l'organizzazione di future rassegne dedicate al Rinascimento bolognese, al rapporto tra Roma e Bologna (dopo la morte di Caravaggio nell'Urbe dominano i pittori emiliani Reni, Albani, Domenichino, Lanfranco oltre ai Carracci) e Donato Creti. Le organizzerà Sgarbi o qualcuna anche Benati? E soprattutto: il professore bolognese e presidente di Italia Nostra Bologna, grande esperto di pittura antica emiliana, si recherà a Palazzo Fava a visitare la rassegna che comprende anche visite in Pinacoteca, alla vicina chiesa di via Galliera e a Palazzo Albergati a Zola Predosa? Sgarbi anche nei giorni scorsi lo ha infatti richiamato in causa in quanto autore di una perizia a una interessante «Vergine orante» di Annibale Carracci che fino al 2013 era in collezione privata bolognese, ma poi è andata in asta prima a Vienna e poi a New York senza che qualche esperto la segnalasse alle autorità del nostro Paese.

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Immagine guida della mostra è l'«Allegoria della fortuna» già assegnata a Giovanni Andrea Sirani e, dopo il restauro, attribuita a Guido Reni

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Stefano Luppi, 12 febbraio 2015 | © Riproduzione riservata

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