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«Cristo nell’orto degli Ulivi» (1757-62) di Etienne-Maurice Falconet, Parigi, Chiesa di San Rocco

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«Cristo nell’orto degli Ulivi» (1757-62) di Etienne-Maurice Falconet, Parigi, Chiesa di San Rocco

Estasiati da Falconet

Una mano e un piede penzolante ci fanno entrare in empatia con la Scultura

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Maichol Clemente

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«Ma poiché la Scultura non si fa solamente per quelli che la esercitano, o per quelli ch’hanno in essa acquistati de’ lumi, è ancora di mestieri, che lo Scultore per meritare tutti i suffragj accoppj agli studj che gli sono necessari una grande, ed eccellente dote. Questa dote tanto essenziale, e tanto rara, benché esser possa comune a tutti gli Artefici, è il sentimento. Dev’esser questo inseparabile da tutte le loro produzioni. Egli è quello, che le avviva; e se le altre ne sono la base, il sentimento n’è l’anima. Le cognizioni acquistate non sono che particolari; ma il sentimento è comune a tutti gli uomini; è per questo aspetto universale; e tutti gli uomini sono giudici delle Opere, dove esso regna».

Autore di questi pensieri o meglio «Riflessioni», come le definì lui stesso dando quindi a esse un valore diverso, più attento, ricercato, insomma più vicino alla speculazione teorica che alla divagazione occasionale, è Étienne-Maurice Falconet, un artista francese nato nel 1716 e scomparso nel 1791. Falconet parlava con cognizione di causa: egli era infatti uno scultore, e tra i più celebrati del suo tempo, tanto da essere invitato a collaborare all’impresa dell’Encyclopédie da cui ho tratto (da una traduzione italiana del 1773) le righe riportate in apertura. Sentimento, dunque.

Un qualcosa che ha a che fare sì con le emozioni e con ciò che esternamente o internamente le suscita, ma che qui diventa, secondo Falconet, anche la bilancia del nostro giudizio sulle opere d’arte. Insomma, ne è la causa, uno degli elementi attraverso cui fare una scelta, dichiarare il proprio sentire, decretare la riuscita o meno di quello che stiamo osservando. Tentare di intendere cosa volesse dire per un europeo del Settecento «sentimento» non è affatto semplice: troppe le sfumature riconosciutegli e che quel termine portava, almeno in quell’epoca lontana, con sé.

In Falconet, ad esempio, io penso di averlo «incontrato», scorto, il sentimento, ma non certamente nelle sue Veneri, né nei gruppi con coppie di adolescenti che si scambiano baci, come neppure nel «Pigmalione e Galatea» arrivatoci in varie versioni, tra cui una, stupenda e di grandi dimensioni, oggi all’Ermitage di San Pietroburgo. L’ho percepito, rimanendone immediatamente invischiato, nella raffigurazione di «Cristo nell’orto degli Ulivi», una statua posta su uno dei pilastri del transetto della Chiesa di San Rocco a Parigi. Si tratta di un lavoro eseguito tra il 1757 e il 1762. Di quella figura silenziosa, calata in una dimensione per così dire onirica, gli occhi sono chiusi, la testa inclina lentamente sulla spalla, quello che più mi ha colpito e attraverso cui sono entrato in empatia con la scultura è la mano sinistra di Cristo totalmente abbandonata nel vuoto. Questo dettaglio formale è anche traccia di quel tempo sospeso, non umano, trascendente, altro, in cui Gesù appare immerso.

È la stessa sospensione vissuta da santa Teresa nel gruppo di Gian Lorenzo Bernini in Santa Maria della Vittoria a Roma, scolpito dal celebre artista un secolo prima. Anche qui, similmente che a Parigi, è attraverso il piede penzolante della santa, punto bianco a tiro di sguardo, che iniziamo a penetrare la figura, a scalarne i volumi, per ritrovarci rapiti spettatori di quella celebre estasi mistica e, infine, consapevoli testimoni di un doppio sentimento: quello dell’artista e il nostro.

Maichol Clemente, 27 luglio 2023 | © Riproduzione riservata

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