Image

La Pietà di Michelangelo nella Basilica di San Pietro a Roma. Foto tratta da Wikipedia. Foto: Juan M. Romero | CC BY SA 4.0

Image

La Pietà di Michelangelo nella Basilica di San Pietro a Roma. Foto tratta da Wikipedia. Foto: Juan M. Romero | CC BY SA 4.0

Ecco perché Michelangelo non finiva le sculture

L’immenso talento e l’irruenza creativa spiegano il suo «corpo a corpo col corpo»

Franco Moro

Leggi i suoi articoli

La questione del non finito risulta tutt’altro che marginale nel percorso di Michelangelo, in considerazione del vasto numero di opere lasciate apparentemente incomplete e allo stato di avanzato abbozzo. L’obiettivo di Ettore Ghinassi, autore del libro, composto in realtà da tre saggi, è «di aprire un’altra via all’interpretazione della sua opera e della controversa questione del non/finito».

La via intrapresa dall’approccio sostenuto da Ghinassi passa attraverso gli scritti autografi di Michelangelo, analizzando la parola «concetto», come concepimento e invenzione, ricerca della forma. Il blocco di marmo nulla contiene in sé a priori dell’opera, nulla è totalmente prefigurato nella mente, attinto in un universo di forme assolute, immutabili ed eterne come vorrebbe la «sophia» neoplatonica.

Michelangelo è uno sperimentatore alla continua ricerca della forma nella materia e attraverso la materia. Cambia e modifica le sue scelte in corso d’opera come un pittore vela con il colore ogni pentimento. Molta attenzione viene dedicata dall’autore agli aspetti di carattere tecnico-operativo, per riscoprire la molteplice natura della fenomenologia progettuale di Michelangelo.

Attraverso la lettura di molti scritti, dai filosofi antichi a Leon Battista Alberti, da Benedetto Varchi a Giorgio Vasari, a Benvenuto Cellini, ma soprattutto attraverso la lettura non corriva delle Rime, michelangiolesche, Ghinassi tenta di ricostruire la sua personalità fuori dal solco di una storiografia beatificante, alla riscoperta del pensiero dell’artista, eternamente in contrasto e combattuto, in un «corpo a corpo col corpo» che non gli dà tregua e, come artista, con la materia, «ove la prima idea, il primo abbozzo di un concetto, si dissolve e rinasce. L’arte non può essere platonica», nella creazione che si genera nella scoperta delle forme attraverso una processualità rischiosa.

Michelangelo conosce questa sfida e gioca continuamente questo rischio dall’alto del suo talento. Dopo la suggestione giovanile, fiorentina, del pensiero neoplatonico, con il tempo Michelangelo se ne discosta, acquisendo e formando una personale visione della vita e dell’arte. Coinvolgente è la descrizione del procedimento seguito dall’artista durante il suo lavoro, l’abile utilizzo degli strumenti, il loro uso consapevole e mirato fino a ottenere l’effetto espressivo che l’artista intendeva trasmettere.

Ghinassi sostiene che «l’opera non è il calco di un simulacro mentale; soprattutto le sculture della vecchiaia sono il frutto di una gestazione travagliata; anticipata da abbozzi vaghi e sommari, utili solo per fissare i primi punti di affondamento, la forma è concepita e realizzata a vista nel vivo del blocco di marmo, cercata e trovata direttamente nel masso», come se «l’immenso talento di Michelangelo aggredisse direttamente il blocco di marmo, dopo aver segnato pochissimi punti di riferimento dal disegno su un cartone, e procedesse senz’altro aiuto che il proprio occhio, la propria perizia e la propria potenza di immaginazione» fino a «captarne la forza e la forma insieme, la forza nella forma apoteosi del corpo dell’uomo».

Procedimento creativo, fondato sulla visione selettiva in continua evoluzione, in eterno dilemma tra opzioni diverse, che lo porterà, per sottrazione, al tragico mutismo della Rondanini. Punto di arrivo, o di crisi, di colui che a 24 anni era stato capace dell’assoluta perfezione raggiunta nella Pietà della Basilica di San Pietro. Estrema autonomia dell’artista e della sua creazione, che non può essere ridotta a mera questione di contrapposizione tra finito o non finito, ma piuttosto riguarda la volontà di Michelangelo di un coinvolgimento sentimentale dell’osservatore, costretto di fronte all’opera alla ricerca del punto di vista cioè alla ricerca della sua massima intensità espressiva.

Michelangelo e il non-finito. (In appendice L’estetica di Leon Battista Alberti e il De Re Aedificatoria), di Ettore Ghinassi, 144 pp., 28 ill.,Allemandi, Torino 2022, € 18

La Pietà di Michelangelo nella Basilica di San Pietro a Roma. Foto tratta da Wikipedia. Foto: Juan M. Romero | CC BY SA 4.0

Franco Moro, 10 dicembre 2022 | © Riproduzione riservata

Ecco perché Michelangelo non finiva le sculture | Franco Moro

Ecco perché Michelangelo non finiva le sculture | Franco Moro