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Uno scatto di Carlo Orsi esposto nella mostra «Benin» alla Galleria Biasutti di Torino

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Uno scatto di Carlo Orsi esposto nella mostra «Benin» alla Galleria Biasutti di Torino

Dolore e tenerezza nel Benin di Carlo Orsi

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Redazione GDA

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Il reportage che Carlo Orsi espone ora fino al 28 febbraio a Torino nella galleria di Giampiero Biasutti s'intitola significativamente «Benin». Si tratta infatti delle fotografie eseguite durante il suo ultimo, recente viaggio nello Stato africano con i membri della missione umanitaria della Cute Project Onlus.

Da alcuni anni Carlo Orsi si reca periodicamente in Africa per finanziare con i suoi scatti il lavoro di medici e di sanitari (che non percepiscono compenso; il ricavato della vendita delle fotografie e dei cataloghi della mostra sarà interamente devoluto al progetto) applicato alla chirurgia plastica ricostruttiva, soprattutto quella rivolta alla cura delle ustioni.

Eva Mesturino, una dottoressa dell’équipe attiva nell’ospedale N’Dali a Cotonou, in Benin, introduce nel  catalogo della mostra i protagonisti di questa vicenda, pazienti, bambini, donne, uomini: il chirurgo torinese Daniele presidente di Cute Project Onlus, le infermiere Lori e Samantha, Sibi con, sul volto, «i segni tipici della sua etnia, incisioni rituali come fili sulle guance», Ezio chirurgo plastico, Amadou dalla faccia bruciata coperta da un velo nero per non mostrare «i bordi degli occhi completamente rovinati»; Raaji e Felician operati di cheloidi, Yves un bell’uomo di quarant’anni col viso distrutto dall’acido, Eva «una ragazzina di undici anni alta e magra» operata di labioschisi, per citarne solo alcuni.

Volti devastati da cui emergono le orbite senza palpebre, volti coperti da bende bianche contro la pelle scura, la bocca spalancata nell’urlo sotto la medicazione delle piaghe che sfregiano la pelle, terribili ferite sui corpi dei bambini, piccoli corpi intubati, orrendi labbri leporini, vesciche infette sono ripresi dalle fotografie nette, precise, esatte di una realtà intollerabile anche solo a guardarsi. Incisive come i ferri dei chirurghi che operano a N’Dali. Sconvolgenti in ogni dettaglio. Sono l’inequivocabile testimonianza di una realtà che Carlo, con pudore e umanità, senza compiacimento, con enorme rispetto per il dolore dell’uomo porge all’osservatore a suscitare umana pietas.

La comprensione e la compassione per le sofferenza sono infatti la cifra che segna tutto il reportage. Non solo dolore si legge però nella campagna fotografica in Benin, ma appare la tenerezza delle madri che allattano i bimbi piccoli, li cullano, attendono la visita del medico, bimbi che giocano, si riparano sotto le stie di polli, galli, galline, chirurghi in sala operatoria intenti a sanare le infermità, la felicità di medici, pazienti e della comunità, condivisa nella festa dopo le cure riuscite a dare senso e speranza all’impegno e al lavoro.
I vigorosi, teneri, lancinanti ritratti rivelano la sensibilità e l’attenzione per la figura umana che da sempre connota la fotografia di Carlo Orsi.

Il senso di questo forte e profondo reportage non è tuttavia nelle immagini esteticamente efficaci ma nell’uso di una fotografia che, se non può forgiare un atteggiamento eticamente corretto, può tuttavia indurlo o consolidarlo obbligando, attraverso lo sguardo, a una riflessione su vite e realtà tanto diverse, dolorose e sconvolgenti.

Uno scatto di Carlo Orsi esposto nella mostra «Benin» alla Galleria Biasutti di Torino

Uno scatto di Carlo Orsi esposto nella mostra «Benin» alla Galleria Biasutti di Torino

Redazione GDA, 20 febbraio 2015 | © Riproduzione riservata

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