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«Westminster Bridge» (1878), di Giuseppe De Nittis. Collezione privata, cortesia di Marco Bertoli © Archivio Enrico Gallerie d'Arte, Milano

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«Westminster Bridge» (1878), di Giuseppe De Nittis. Collezione privata, cortesia di Marco Bertoli © Archivio Enrico Gallerie d'Arte, Milano

De Nittis «più parigino dei parigini»

Era arrivato nella Ville Lumière senza soldi, ma in pochi anni l’artista pugliese conobbe uno strepitoso successo. Ora in Palazzo Reale a Milano si ricrea lo spirito della retrospettiva con cui nel 1886 la Galleria Bernheim Jeune aveva celebrato il pittore

Fernando Mazzocca

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Insieme a quelle del Petit Palais nel 2010 e di Palazzo Zabarella a Padova nel 2013, «De Nittis. Pittore della vita moderna», aperta fino al 30 giugno a Palazzo Reale, è la mostra più completa dedicata a un artista molto amato ed entrato nella leggenda. 

Scomparso ancora giovane a soli 38 anni, Giuseppe De Nittis (Barletta 1846-Saint-Germain-en-Laye 1884) è stato protagonista, per almeno un ventennio, alla ribalta dell’arte moderna, tra Napoli, la città della sua formazione, e la Parigi degli Impressionisti, con i quali ha avuto la capacità di confrontarsi pur avendo un rapporto conflittuale, e Londra dove, grazie all’appoggio dell’amico Tissot, ha avuto straordinarie opportunità professionali.

Con questa rassegna, da me curata con Paola Zatti, abbiamo cercato di ricreare lo spirito della lontana retrospettiva allestita nel 1886 dalla Galleria Bernheim Jeune di Parigi, quando vennero radunati ben 126 dipinti commentati da uno dei suoi migliori interpreti, Paul Mantz, che intendeva fare il bilancio dello strepitoso successo arriso in pochi anni a questo artista geniale che, per la sua capacità di rappresentare la vita della capitale mondiale dell’arte e della mondanità, sarà celebrato come il «plus Parisien que tous les Parisiens». Per lungo tempo dimenticato, sia in Italia che in Francia, sarà riscoperto a partire dagli anni Venti del Novecento, quando la sua vicenda verrà ricollocata accanto a quella degli Impressionisti.

A Parigi era arrivato senza soldi ma con grandi speranze. Aveva appena superato i vent’anni e si lasciava alle spalle una giovinezza difficile. Contrastato dalla famiglia di origine borghese, che considerava un disonore diventare pittore, tenne duro e già alla vigilia della fatale partenza per la Francia, aveva saputo incantare tutti, e in particolare il macchiaiolo Adriano Cecioni, con la freschezza della sua pittura en plein air. Da allora per lui dipingere significò immedesimarsi nella natura rendendone quella che chiamava l’«atmosfera», identificata non solo per i dati fisici, ma anche psichici.
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Siamo in grado di seguire le vicende della sua vita e renderci conto delle sue idee attraverso il taccuino di ricordi, pubblicato postumo dalla moglie, e il ricco epistolario intercorso con amici, colleghi, familiari. Dopo il definitivo trasferimento nella capitale francese nel 1868, la sua carriera, come quella di un altro grande italiano a Parigi, Giovanni Boldini, decollò subito grazie al favore dei due più potenti mercanti europei, Reitlinger e il famigerato Goupil che lo legò per due anni con un contratto di esclusiva e che comunque rimase, anche dopo la rottura, una presenza decisiva nella sua vicenda professionale. Partecipò, quasi ogni anno, ai Salon e alle Esposizioni Universali dove la sua popolarità era garantita dal fatto che abbinava le struggenti immagini dall’Italia alle vedute di Parigi.

Per affrancarsi dalla dipendenza del mercato parigino e aprire nuovi sbocchi professionali come sperimentare nuovi orizzonti espressivi, si trasferì, ritornandovi periodicamente, a Londra dove lavorò con una foga incredibile, allargando la sua clientela, come conferma il rapporto privilegiato con il colto banchiere Kaye Knowles, il suo maggiore mecenate e collezionista che, alla sua morte, aveva progettato di lasciare i suoi dipinti alla National Gallery. Morì dopo De Nittis e questo non avvenne. Ma in mostra abbiamo una straordinaria serie di vedute londinesi provenienti proprio da quella celebre raccolta, come quella dal ponte di Westminster, il suo quadro più grande, che suscitò l’entusiasmo di Van Gogh.

Nell’immaginario ottocentesco di Parigi e di Londra i suoi dipinti occupano un posto di assoluto rilievo proprio per la capacità nel catturare le atmosfere e il pulsare della vita delle due città che egli amò in modo diverso. Comunque questi due differenti scenari urbani furono la fonte principale della sua ispirazione, rendendolo, sullo stesso piano degli Impressionisti, uno dei maggiori interpreti della modernità. La sua morte improvvisa destò allora enorme commozione nella città che lo aveva adottato e amato. Il suo mito sarà consacrato all’eternità dalla sepoltura nel cimitero delle celebrità, il Père-Lachaise, dove la lapide posta sulla sua tomba dettata da Dumas figlio lo ricorda «morto a trentotto anni / in piena giovinezza in pieno amore in piena gloria. / Come gli eroi e i semidei».

Ora anche Milano vuole riconsacrare, rievocando la sua straordinaria parabola creativa, questo protagonista della cosiddetta pittura della vita moderna che, con le sue opere, ha alimentato il mito di Parigi capitale mondiale dell’arte e della mondanità.
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Fernando Mazzocca, 23 marzo 2024 | © Riproduzione riservata

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