«Un leone e una tigre entro una gabbia con il ritratto del pittore» (1831) di Francesco Hayez, Milano, Museo Poldi Pezzoli

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«Un leone e una tigre entro una gabbia con il ritratto del pittore» (1831) di Francesco Hayez, Milano, Museo Poldi Pezzoli

Alla Gam di Torino per entrare nell’atelier di Francesco Hayez

Il curatore Francesco Mazzocca propone un approccio inedito all’opera dell’iniziatore del Romanticismo: il confronto tra importanti dipinti e i rispettivi disegni preparatori

Rispetto alle mostre precedenti dedicate a Francesco Hayez (Venezia, 1791-Milano, 1882), dalla prima retrospettiva allestita a Brera nel 1883 a quella del 1983, in occasione del centenario della morte, in Palazzo Reale a Milano e la grande antologica alle Gallerie d’Italia nel 2015, questa rassegna («Hayez. L’officina del pittore romantico», alla Gam-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino dal 17 ottobre al primo aprile 2024, a cura di Fernando Mazzocca ed Elisa Lissoni, Ndr) si distingue, oltre che per una serie di opere riscoperte, per un approccio inedito. Propone infatti il confronto, particolarmente stimolante, tra alcuni dei dipinti più significativi del pittore veneziano con i rispettivi disegni preparatori, consentendoci un esaltante viaggio nel tempo attraverso le diverse fasi e le trasformazioni dell’officina del pittore romantico per eccellenza.

Le dieci sezioni in cui è scandito il percorso con oltre cento opere intendono infatti ripercorrere la lunga carriera di un artista longevo che, dalla formazione e dalla prima affermazione in ambito neoclassico, è stato poi l’iniziatore e protagonista assoluto del movimento romantico, per poi confrontarsi con le nuove istanze del Naturalismo, dopo la seconda metà del secolo.

Per Hayez, milanese di adozione ma veneto d’origine e formatosi nello studio di Tiziano e dei maggiori pittori veneziani dal Quattrocento al Cinquecento, il disegno potrebbe sembrare secondario rispetto al colore. Infatti, come lui stesso ricorda nelle sue Memorie, rivendicando la differenza rispetto ad altri artisti contemporanei, fu estraneo alla pratica accademica di procedere seguendo fedelmente un accuratissimo disegno preparatorio, tracciato a chiaroscuro sulla preparazione bianca della tela. Convinto che in questo modo si perdesse «tutta l’anima che deve avere un artista nell’eseguire di getto un lavoro», egli aveva adottato un ben diverso modo di procedere basato sull’estro del momento, sui continui ripensamenti, anche e soprattutto in corso d’opera, che in molti casi sono riconoscibili persino a occhio nudo.

L’eccellenza e la singolarità di questa tecnica costituiscono il fascino e la forza di una pittura che ancora ci emoziona, così come accadeva ai critici contemporanei. Il suo interprete più sensibile, Defendente Sacchi, ci ha lasciato una precisa testimonianza di questo grande talento, scrivendo nel 1830 che «Hayez, dopo qualche schizzo, senza moltiplicare gli studi, le prove, pinge alla prima i suoi quadri, indi li invia a chi glieli allogò, senza tenerne disegni o ricordanze: è il genio che crea, né mai si volge addietro». Gli farà eco nel 1841 Giuseppe Mazzini che, consacrando l’artista come vate della Nazione, ricordava l’uso di cambiare «a ogni colpo di pennello, le sue tinte sulla tavolozza».

Nonostante questa tecnica prodigiosa, la pratica e la passione per il disegno mantennero sempre un’importanza centrale nel processo creativo dell’artista, nell’ideazione e nell’impostazione della composizione, soprattutto quella dei grandi quadri storici; ma anche nella creazione di modelli da impiegare e adattare a diverse soluzioni. Infatti, come il suo mentore Antonio Canova nei suoi disegni rapidi e nei prodigiosi bozzetti, anche Hayez fissava nel foglio una prima idea dell’invenzione pittorica, sperimentando i movimenti e la gestualità delle figure, l’espressione dei volti, ricavandoli spesso dallo studio dal vero sui modelli.

Il confronto, molto stringente in mostra tra questi «schizzi, pensieri fermati rapidamente» e l’esito finale in pittura, ci restituisce quell’affascinante dialogo tra segno e colore che rappresenta uno dei tratti peculiari della produzione dell’artista, una chiave per entrare nel segreto della creazione. A questi fogli di studio, quasi sempre veloci e immediati, si affianca inoltre un particolare tipo di produzione grafica, che risale all’epoca del maggior successo del pittore, quando cominciò a riprodurre i suoi quadri più apprezzati in magnifici d’après, realizzati a lapis e a inchiostro, o all’acquarello, con l’utilizzo sapiente anche della biacca che dava una particolare luminosità a queste carte preziose. In mostra sono presenti per la prima volta diversi esempi di questa raffinata produzione, destinata spesso con affettuose dediche agli amici più cari. Rappresentano la conferma delle sue straordinarie qualità di disegnatore.

Che Hayez desse molta importanza a questo particolare versante del suo processo creativo lo dimostra il fatto che ha conservato nel suo studio un’enorme quantità di fogli sciolti e di disegni in taccuini, poi confluiti insieme ai dipinti che aveva conservato e ai suoi libri nella biblioteca dell’Accademia di Brera, dove aveva insegnato per una vita. La mostra presenta diversi di questi materiali e si è avvalsa dunque della fondamentale collaborazione con la prestigiosa istituzione milanese, che conserva la gran parte della sua produzione grafica.

Nelle diverse sezioni sono appunto i disegni a guidarci nella rilettura di alcuni noti capolavori come il «Laocoonte», opera decisiva della giovinezza; la serie strepitosa delle Maddalene, esemplari della bellezza femminile e della sensualità negli anni dell’affermazione romantica; due capisaldi della pittura storica come la trascinante «Congiura dei Lampugnani» e «Pietro l’eremita che predica la prima Crociata»; gli straordinari ritratti che ci restituiscono il volto di un’epoca.

Un’assoluta novità è rappresentata da un’opera originalissima come il «Bagno di ninfe» che, a dispetto del titolo mitologico, rappresenta una scena affatto contemporanea, come dimostrano gli abiti ottocenteschi lasciati sulla riva, in netto anticipo su un capolavoro scandaloso come «Le déjeuner sur l’herbe» di Manet. Due quadri emblematici, gli straordinari «Accusa segreta» e «Il consiglio alla vendetta» ci trasportano nel mito romantico e decadente di Venezia, di cui Hayez è stato uno dei maggiori interpreti a livello europeo. Mentre la chiusura è affidata all’emozione di un capolavoro assoluto come la «Meditazione», sconcertante rappresentazione attraverso un conturbante nudo femminile della giovane patria «bella e perduta», uscita sconfitta dal 1848, ma destinata poi a realizzarsi, quando Hayez la celebrerà nel 1859 con il suo dipinto più famoso, il «Bacio».

«La Meditazione» (1851) di Francesco Hayez, Verona, Musei Civici, Galleria d’Arte Moderna Achille Forti

«Accusa segreta» (1847-48) di Francesco Hayez, Pavia, Musei Civici del Castello Visconteo

«Un leone e una tigre entro una gabbia con il ritratto del pittore» (1831) di Francesco Hayez, Milano, Museo Poldi Pezzoli

Fernando Mazzocca, 14 ottobre 2023 | © Riproduzione riservata

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