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Anna Orlando
Leggi i suoi articoliIl titolo annuncia una mostra «facile»: «Dagli impressionisti a Picasso. I capolavori del Detroit Institute of Arts» a Palazzo Ducale dal 25 settembre al 10 aprile 2016 (coproduzione e catalogo Skira). Nessun azzardo critico, e dunque nessuno scivolone. Come il più classico dei manuali, l’antologia di 52 dipinti, ciascuno a suo modo significativo e semplicemente bello, illustra il passaggio dall’Impressionismo alla pittura moderna delle avanguardie storiche, parigine e non. Senza cadute né sbavature.
Curata dal direttore del Detroit Institute of Arts (Dia) Salvador Salort-Pons e da Stefano Zuffi, la rassegna offre il piacere di alcune delizie dei maestri (bellissima la sezione dei Degas, quella dei Cézanne e i tre ritratti di Modigliani), e l’opportunità di confronto con nomi meno battuti (la tedesca Paula Modersohn-Becker o i francesi Henri Gervex e Carolus-Duran). Ma, soprattutto, consente un affondo nella storia di una delle grandi macchine museali del Nord America, i cui anni gloriosi, legati al boom economico del settore automobilistico, vedono capitani d’industria e mecenati, direttori e storici dell’arte fondare e far crescere il museo (circa 60mila opere dalla Preistoria al contemporaneo), dal 1885 fino ad anni recenti.
Miracolosa la sua sopravvivenza dopo la recente bancarotta della città (cfr. n. 348, dic. ’14, p. 23). Tra i passaggi significativi della storia si segnala che il Dia fu il primo in America a esporre un Van Gogh e un Matisse. Delle 52 opere in mostra, venti sono acquisti, due sono donazioni della famiglia Ford e ben 26 di Robert H. Tannahill, nipote di Joseph Lowthian, magnate dei grandi magazzini, e di Eleanor Clay Ford, moglie di Edsel figlio unico di Henry. Oltre ai doni in vita, Tannahill lascia alla sua morte, nel 1969, 550 pezzi e un fondo di 550mila dollari per sostenere il museo nel futuro.
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