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Come si è proceduto sul mezzo fresco

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Milano. Nell'abside dell'Oratorio della Passione si parla di affreschi di Bernardino Luini, ma la definizione non è corretta; spiega infatti Paola Zanolini, direttore dello Studio Zanolini Ravenna, che da vent'anni lavora su queste pitture (e che grazie al determinante contributo di Bpm ha potuto concludere nell'ultimo anno questa importante parte di lavori): «Come spesso accadeva in Lombardia, dove la tecnica dell'affresco, che richiede tempi rapidissimi, non era molto amata, qui si tratta di una pittura a mezzo fresco, con latte di calce e colle animali su un intonaco mischiato a minuscoli frammenti di legno e paglia, per ritardarne l'asciugatura: il che consentiva ai pittori di rifinire con maggior cura i particolari, ma rendeva assai più fragile la pellicola pittorica». Su queste sfolgoranti pitture nel corso del tempo sono state soprammesse numerose stesure di colle e fissativi, che hanno dato vita a un film divenuto tenacissimo. «La sfida, continua Paola Zanolini, era ritrovare i colori smaglianti ma delicati e fragili di Bernardino Luini e degli altri artefici, staccando senza danni lo strato dì fissativi. È stato possibile farlo con una tecnica molto lenta, per gli intervalli e le pause che esigeva fra ogni applicazione degli impacchi, messa a punto con la sezione "Gino Bozza" di Milano dell'Istituto per la Conservazione e Valorizzazione dei Beni culturali». Il risultato è emozionante: le monache erano avvolte da un manto sgargiante di colori e di ori su pastiglia che «sfondava» letteralmente le pareti, specie nel matroneo, in cui, accanto alle finestre, le pitture aprono squarci di cielo azzurro sul quale pendono mazzi di rami con frutti. Le raffinatissime candelabre, l'uso dei finti marmi perfino nelle parti non visibili e la profusione di pigmenti preziosi e di oro denotano la qualità della committenza.

Redazione GDA, 05 agosto 2015 | © Riproduzione riservata

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