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Stefano Causa
Leggi i suoi articoliNapoli è di quelle città dove il rapporto col passato va ricontrattato tutte le volte: nessuno lo sa meglio degli storici dell'arte che, su quella corda sempre tesa, finiscono per incontrare gli artisti. Soprattutto i copiloti della disciplina che, negli ultimi decenni, sono diventati i fotografi. Luigi Spina, ad esempio, ha occhio educato sull’antico come attestano certe sue escursioni recenti al Museo Nazionale. Classe 1966, Spina si confronta, ora, con il Settecento in un volume dedicato ai ritratti di confratelli della Fondazione San Giuseppe, scortato dalle pagine di Ugo de Flaviis e di un’eccellente studiosa come Almerinda Di Benedetto. Il volume allinea una scelta di scatti di Spina di alcuni ritratti di benefattori e benefattrici di un’istituzione caritatevole di grande prestigio.
Si tratta di quadri privi di paternità, dimenticabili come attestazioni identitarie dove conti la somiglianza più che l’estro trasfigurante del pittore. Nel riprenderli in modo sbilenco o zoomandoci dentro, Spina infrange il rigore documentario della posa per sottolinearne l’offerta disarmata del sentimento. Lo scopo è far emergere il racconto che l’anonimità di questi visi, privi di ogni appeal o ritocco, non lascerebbe supporre né sperare.
Come ogni libro importante, anche questo di Spina tende a scappare da ogni parte: a cominciare dal fatto che è contemporaneamente tre cose: una monografia sul fotografo, un omaggio a un ente di carità oggi trasformato in fondazione e, infine, un’analisi sul ritratto borbonico in anni in cui l’istituzione del ritratto, tra i caposaldi della figuratività occidentale, è precipitata nei riti del narcisismo da smartphone. Spina era tredicenne quando aprì la mostra «Civiltà del Settecento a Napoli». Oggi avrà immaginato che il Settecento si possa affrontare anche entrando dalla porticina laterale di queste tele non irresistibili, allusive, nei casi migliori, allo stile di un De Mura o di Traversi.
Naturalmente uno che abbia imparato a dominare le declinazioni del bianco e nero, sa che il colore è risorsa da tirar fuori solo in occasioni particolari. Il Settecento, vero secolo d’oro dell’arte napoletana, è una di queste. Nel 1985 Mimmo Jodice provò a raccontare Caravaggio usando un colore acceso e saturo. «Un secolo di furore» (questo il titolo della mostra di Jodice) è il precedente storico del sorprendente portfolio di Spina. Uno di quei libri che sarebbe piaciuto a un esploratore di strade secondarie della storia dell’arte e dell’antropologia come Federico Zeri.
I Confratelli. I ritratti della Fondazione di San Giuseppe dell'Opera Vestire i Nudi, di Luigi Spina, con testi di Ugo de Flaviis ed Almerinda Di Benedetto, 88 pp., ill. col, 5 Continents Editions, Milano 2020, € 25

Il ritratto di un confratello dell'Arciconfraternita di San Giuseppe dell’Opera di Vestire i Nudi a Napoli (particolare)
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