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Barnabé Fillion

Foto: Fabien Breuil

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Barnabé Fillion

Foto: Fabien Breuil

Barnabé Fillon: il «naso» francese dell’arte

L’esperto di fragranze che collabora con figure di spicco dell’arte, come Parreno e Gonzalez-Foerster, dell’architettura, del design e della musica

Lucia Aspesi, Fiammetta Griccioli

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Barnabé Fillion è tra i più rilevanti nasi francesi contemporanei. Negli ultimi 15 anni ha lavorato con marchi del calibro di Aesop e Le Labo per la creazione di fragranze, mantenendo un approccio sperimentale nell’ideazione di profumi e collaborando con figure di spicco provenienti da ambiti e discipline diverse tra cui l’arte, la musica e l’artigianato. Con base a Venezia, nella sua carriera ha intrapreso importanti progetti pionieristici con case di moda, istituzioni e gallerie per creare nuove molecole olfattive. Le sue ricerche coniugano i saperi della profumeria con l’architettura e il design, attraverso l’impiego di materiali facilmente reperibili in botanica e altri elementi naturali di cui mantiene intatta la struttura molecolare. Il suo approccio rizomatico lo ha portato a fondare nel 2020 Arpa Studio, un laboratorio di esplorazione sensoriale che celebra le intersezioni tra arte, scienza e altre discipline. Il nome Arpa è in parte ispirato al celebre artista astrattista francese Hans Arp (1886-1966), che una volta descrisse le sue sculture come «profumi verticali». Nella sua carriera Fillion ha collaborato con alcuni dei più importanti artisti contemporanei, tra cui Anicka Yi, Philippe Parreno e Dominique Gonzalez-Foerster per la realizzazione di fragranze in grado di sovvertire i paradigmi visivi di un’opera d’arte ed espanderne la percezione verso una più articolata sfera sensoriale. Fillion utilizza l’olfatto per dimostrare come la profumeria, insieme al suono e alla scultura, sia una parte cruciale nell’atto immaginativo di nuove possibili realtà. Per la personale di Philippe Parreno a Parigi nel 2022 presso la Bourse de Commerce, Fillion ha creato un aroma che veniva diffuso nello spazio trascendendo la più consolidata esperienza di visione dell’arte, dove la fragranza olfattiva era il mezzo essenziale per dare forma alla narrazione della mostra. Ognuno di questi interventi evidenzia la sua pratica sinestetica e collaborativa, in cui gli odori diventano una componente vitale nella creazione di esperienze multisensoriali.

È affascinante come nel suo iniziale passato da fotografo si sia ispirato a figure come Karl Blossfeldt (1865-1932), considerato una pietra miliare della storia della fotografia, le cui immagini iconiche del mondo botanico sottolineano l’aura delle forme fondamentali della natura. Com’è passato dall’ambito visivo a uno più invisibile? Che cosa ha generato questa transizione?
Questo passaggio è avvenuto grazie a una mia profonda curiosità per ciò che si nasconde dietro il visibile: le strutture, i sistemi, le atmosfere che danno forma alla percezione... La fotografia mi ha insegnato a osservare, a isolare la forma e il ritmo. Sono stato particolarmente influenzato dal modo in cui Blossfeldt rivela l’archetipo all’interno della botanica, l’architettura della natura. Da lì, mi è sembrato naturale esplorare ciò che non si può vedere, ciò che si sente, si ricorda o si immagina. Ho lavorato su progetti a lunga esposizione, come se la luce macerasse la chimica di un laboratorio. La dimensione olfattiva è diventata una nuova lente, che non inquadra ma circonda.

Il suo immaginario ha origine nel mondo naturale ma anche nel contesto urbano, evocando narrazioni che immergono le persone in storie, ricordi ed esperienze sinestetiche in grado di coinvolgere tutti i sensi. «Sequence 1», la collezione di fragranze create per Arpa, trae ispirazione dalle donne pioniere della musica elettronica e dall’utilizzo dei sintetizzatori con la modulazione delle frequenze. Questa serie è presentata in diversi flaconi colorati in vetro soffiato realizzati dal maestro vetraio londinese Jochen Holz e accompagnata dalla colonna sonora del compositore Alexis Le-Tan. Come procede nello sviluppo di un profumo?
Il processo inizia spesso con un luogo, un gesto o una sorta di architettura mentale. Per «Sequence 1» abbiamo lavorato con coordinate e riferimenti cromatici, immaginando la formula come una condizione spaziale. Lavoro con materie prime molto personali, spesso rare o antiche, combinate con tecniche di estrazione che vanno dalle più tradizionali alle più avanzate. Poi componiamo, come il montaggio di un film in sequenza, calibrando texture, temperatura, ritmo. La colonna sonora di Alexis Le-Tan è nata parallelamente (come le altre due tracce relative a ciascun profumo della serie), dando vita a una percezione d’insieme. Ogni elemento è parte di un ecosistema.

Può darci un esempio di materiali rari e antichi con i quali lavora? E come li integra nelle sue fragranze?
Uso un ingrediente chiamato Attarmiti, che deriva da un antico metodo di distillazione della ceramica di terracotta. La terracotta proviene dalle tazze tradizionalmente usate per servire il tè nelle strade dell’India, tazze che vengono gettate a terra e rotte dopo l’uso. Una famiglia di distillatori di sesta generazione raccoglie questi frammenti e li distilla utilizzando tecniche ereditate dall’epoca Moghul. L’Attarmiti porta note di tabacco freddo, insieme a toni fangosi e terrosi, evocando il profumo del suolo e della costruzione. Ho utilizzato questo materiale in tutta la «Sequence 2» di Arpa, che esplora i temi del metabolismo, gli inizi dell’architettura futuristica. Le forme emergono dall’attrito tra terra e struttura, natura e intenzione.

«Glycerine-scented sculpture» realizzata da Barnabé Fillion per Arpa Studios

Il profumo è incorporato nella sfera del desiderio e coinvolge tutto il vocabolario emotivo.
Il profumo supera il linguaggio. È ancorato alla memoria, al desiderio. Non è lineare, ritorna, evapora, rimane. Dà forma alle atmosfere. Da questo punto di vista è una potente architettura invisibile dei sensi e delle reazioni.

Lei ha collaborato con alcuni degli artisti più noti e sperimentali del panorama contemporaneo come Anicka Yi, Philippe Parreno e Dominique Gonzalez-Foerster. Per la mostra «Alienarium 5» di Gonzalez-Foerster alla Serpentine Gallery di Londra nel 2022 ha realizzato un profumo per uno spazio popolato idealmente da creature extraterrestri e non umane. Come nascono e in che modo questi progetti si differenziano dalla sua pratica quotidiana?
Queste collaborazioni nascono spesso da lunghe conversazioni, ossessioni reciproche, intuizioni e interessi condivisi. Con Anicka Yi, per esempio, il nostro lavoro è emerso dal suo interesse per la biologia e la speculative fiction. Con Dominique Gonzalez-Foerster, invece, è stato fondamentale il tempo trascorso in studio: proiettarsi in un paesaggio fantomatico e interrogarsi sull’intelligenza delle piante che lo avrebbero abitato, dando luogo a nuovi spazi di immaginazione. Ciascun progetto amplia il vocabolario olfattivo, non come profumo, ma come presenza. Si differenzia da un messaggio in bottiglia, creazione della Classicità, perché gli obiettivi sono meno definiti. L’opera diventa un altro campo di sperimentazione.

Il suo lavoro è soprattutto nello spettro dei linguaggi non verbali, legati a forme di intangibilità ed evanescenza. Vorremmo parlare di uno dei suoi ultimi filoni di ricerca sul sapone.
Il sapone è un materiale scultoreo, ma è anche un vettore di «codici» sociali, rituali, estetici. È un insieme di molecole profumate, animali, vegetali e umane. Attraverso «SOAP Culture», la nostra nuova piattaforma d’arte a Venezia, abbiamo presentato in una mostra collettiva che si intitolava «lavati la bocca con il sapone», durante la scorsa Biennale: un’esplorazione sul sapone nella sua relazione con l’igiene, l’identità, l’apparenza e la scomparsa, e le sottoculture. È al tempo stesso domestico e politico. Abbiamo lavorato con artisti e antropologi, analizzando come l’atto di lavarsi abbia un peso simbolico. In alcune installazioni, il sapone diventava architettura. Abbiamo curato la mostra con la designer Sofia Elias, articolando insieme tre opere che esplorano distillazioni, terreni di gioco e sistemi di credenze, stregoneria e magia bianca in Messico.

L’architettura metabolica (o Metabolismo) è un movimento giapponese degli anni ’50 e ’60 che ipotizzava edifici e città come organismi viventi in evoluzione. Nato in risposta alla ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale, propone un’architettura capace di adattarsi all’ambiente e vede tra i suoi principali esponenti i leggendari Kenzo Tange e Arata Isozaki. Questo movimento culturale pionieristico è l’ispirazione alla base di «Sequence 2» di Arpa. Quale tipo di società s’immagina possa indossare questo profumo?
Una società che si adatta, che metabolizza la memoria e il cambiamento. Il metabolismo, in questo caso, non è una metafora: è un processo. «Sequence 2» evoca movimento, sintesi e trasformazione. Potrebbe essere indossata nelle zone di transizione, nei luoghi in cui si intersecano urbano e organico, artificiale e ancestrale.

Con chi sognerebbe di sviluppare un nuovo progetto?
Qualcuno che lavora sulla frontiera tra biologia, architettura o scienze planetarie. Mi interessano le persone che speculano sul futuro pur rimanendo radicate nelle pratiche materiali. Forse qualcuno come la filosofa e teorica Donna Haraway o l’artista James Turrell, che opera sull’architettura vivente. O una compositrice come Laurie Spiegel per il modo in cui ha creato il silenzio all’interno del suono.

«Iris flower-the essence of Sequence 2», creata con @tij.flowers e fotografata da @Tomdepeyret e Barnabé Fillion

Lucia Aspesi, Fiammetta Griccioli, 15 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

Barnabé Fillon: il «naso» francese dell’arte | Lucia Aspesi, Fiammetta Griccioli

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