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Barbieri in sette tappe

Federico Castelli Gattinara

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È un’importante retrospettiva di metà carriera, quella che dal 29 maggio al 9 novembre il MaXXI dedica a Olivo Barbieri (Carpi, 1954), a cura di Francesca Fabiani e illustrata da un catalogo Marsilio.

L’idea è di fornire una lettura del suo lavoro, sgombrando il campo dal fraintendimento che, col successo dei suoi site specific con riprese aeree e messa a fuoco selettiva, lo ha etichettato come un fotografo che racconta le città.

In realtà il suo è un lavoro che verte sul linguaggio, sull’analisi e sulla messa in discussione della percezione; delle varie città a Barbieri importa poco, spiega Fabiani. Più che un fotografo nel senso ortodosso del termine, parliamo di un artista che utilizza la fotografia, che sperimenta con quel mezzo. È lui stesso ad ammetterlo: «Non mi ha mai interessato la fotografia, ma le immagini. Credo che il mio lavoro inizi laddove finisce la fotografia», un paradosso apparente che in realtà contiene tutta la forza e la complessità di questa ricerca.


La mostra ripercorre l’intera carriera attraverso una settantina di opere, sette sezioni e tre focus specifici, con uno sviluppo non necessariamente cronologico. Si parte dalla fine degli anni Settanta con i flipper ritrovati in una fabbrica abbandonata e si arriva a una nuova committenza MaXXI (Barbieri fu tra i primi a essere coinvolti nei progetti del neonato museo), un lavoro site specific sulla costa Adriatica ripresa dall’elicottero, che sarà realizzato durante l’estate e si aggiungerà alla mostra (e poi alle raccolte del MaXXI) tra settembre e ottobre.


Le sette sezioni restituiscono, in forma necessariamente sintetica, la giusta comprensione del suo lavoro, quel suo stare «in bilico tra il certo e l’incerto, tra il reale e il plausibile, tra il sapere e l’ovvio. Tra l’orizzontalità dei suoi viaggi sulla superficie del pianeta e la verticalità di un percorso che indaga i processi interni del vedere e del conoscere», per dirla con Fabiani.

La prima sezione, «Viaggio in Italia», non fa solo riferimento al progetto di Ghirri al quale l’allora giovanissimo Barbieri partecipò, ma anche a tutti i temi da lui trattati in quei primi anni Ottanta, dallo sguardo privo di pregiudizi sul contesto all’uso anticipatore del colore e della luce artificiale.

Seguono sezioni tematiche e serie fotografiche che dai già citati flipper passano per i dipinti ripresi agli Uffizi, al Louvre, a Capodimonte negli anni Duemila, le fantasmagoriche città piene di illuminazioni artificiali, la Cina e l’Estremo Oriente e le loro trasformazioni in un quarto di secolo di viaggi continui, le prime sperimentazioni negli anni Novanta di «fuoco selettivo», che diventerà il suo tratto più distintivo, i site specific con riprese aeree a partire dal 2003, i Parks resi con lo stesso, ormai collaudato linguaggio. E ancora un focus su Barbieri nelle collezioni del MaXXI e uno sui suoi libri.

Federico Castelli Gattinara, 04 maggio 2015 | © Riproduzione riservata

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