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Arti «autres»: non solo prezzi miliardari

Antonio Aimi

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Anche se, come abbiamo scritto più volte, il periodo d’oro del collezionismo è sempre già passato, ora è bene affermare con chiarezza e senza il timore di un’eccessiva enfasi che questi sono anni eccezionali per l’arte extraeuropea.
Mai, infatti, se si escludono periodi molto lontani, il mercato aveva offerto un panorama così vasto e così ricco di opere. Certo solo pochi collezionisti possono permettersi di comperare la statua Luba del Maestro di Warua (il top lot delle tornate di aste tra aprile e maggio), battuto da Sotheby’s il 15 maggio, ma è evidente che la notizia più significativa non è data dal prezzo di vendita (3.186.200 euro), quanto dal fatto che numerose altre opere molto importanti e, in alcuni casi, veri e propri capolavori sono stati messi in vendita a prezzi relativamente ragionevoli.
Tra i tanti esempi, possiamo cominciare da uno straordinario Moai Kavakava dell’Isola di Pasqua venduto a Berlino il 21 aprile da Auctionata a soli 74.280 euro (era stimato 120mila), un risultato che, peraltro, rappresenta l’unico acuto di un’asta che ha avuto una bassissima percentuale di venduto, il 23% (per numero di pezzi).
Il quadro delle opere con un rapporto qualità-prezzo molto interessante non cambia se si considera la vendita Artcurial dell’11 maggio, che si è invece conclusa con una percentuale del venduto del 73,5%. Anche qui, infatti, più che il fatturato complessivo (220.151 euro) o il top lot dell’asta (una stele del versante atlantico dell’attuale Costa Rica, venduta a 50.160 euro, a partire da una stima di 40-50mila euro), fanno notizia sia gli oggetti venduti a prezzi abbordabili, sia quelli invenduti nonostante stime decisamente basse. Limitandoci ai primi si possono segnalare una bottiglia Nasca 7, una fase piuttosto rara, venduta a 1.250 euro (stima 800-1.000) e un vaso a due camere Chimú-Lambayeque, venduto a 780 euro (stima 400-500), che in assoluto rappresenta una delle migliori realizzazioni della ceramica, in genere priva di grande appeal, di questa cultura. Gli stessi segnali vengono anche da New York, dove dopo le faville dell’asta Kunin di cui abbiamo riferito nel numero di dicembre, Sotheby’s ha presentato 189 opere dell’Africa, dell’Oceania dell’America precolombiana. Il fatturato complessivo è stato di poco più di 10,7 milioni di euro. Le percentuali del venduto, il 67,7% e l’86,6% (per numero di lotti e per valore) sono, quindi, nettamente inferiori a quelle delle grandi aste newyorkesi degli ultimi due anni. Quali possono essere le ragioni di questa modesta flessione? Difficile dirlo. Come è difficile valutare il risultato del top lot, la statua Luba del Maestro di Warua, uno dei due più grandi scultori Luba, studiato in modo approfondito da Ezio Bassani, che, insieme a Teresa e Valerio Zanobini, già negli anni Novanta mise in evidenza come i volumi delle sculture del maestro rispettassero rigorosi moduli geometrici. Considerando che l’opera è partita da una stima di 2,6-4,4 milioni di euro, che vantava un curriculum espositivo e di pubblicazioni straordinario e che nei mesi precedenti opere per lo meno di pari livello erano state vendute a cifre superiori, pare evidente che il risultato è un po’ deludente. Ma, in realtà, tutta l’asta del 15 maggio ha avuto tra i top lot un andamento un po’ anomalo. Basti ricordare che una testa in terracotta Edo, bella e antica ma non straordinaria, e una testa in bronzo Udo sono arrivate rispettivamente a 1,7 milioni e 645mila euro a partire da stime di 350-530mila e 90-130mila euro, mentre una testa Malagan si è fermata a 930mila euro da una stima di 710mila-1,06 milioni. Tuttavia, al di sotto della fascia delle opere impossibili per i collezionisti «normali», anche i risultati newyorkesi confermano che ci sono occasioni straordinarie. La più clamorosa è quella di un vaso maya raffigurante due pesci-gatto attribuibile alla bottega che ha prodotto le migliori opere di questa tipologia. Il vaso è stato venduto a 9.400 euro (stima 8.800-13mila), nonostante la scheda del catalogo riportasse diligentemente, anche se a dir il vero in modo un po’ troppo  scolastico, che il pezzo era stato prodotto da «one workshop or group of painters».


Antonio Aimi, 05 giugno 2015 | © Riproduzione riservata

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