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Ariosto suona l’olifante

Ariosto suona l’olifante

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Redazione GdA

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<!-- p.p1 {margin: 0.0px 0.0px 0.0px 5.7px; text-align: justify; line-height: 10.5px; font: 8.5px 'ITC Franklin Gothic Std'} span.s1 {font-kerning: none} span.s2 {font: 9.0px 'Swift Neue LT Pro'; font-kerning: none} --> Ferrara celebra Ludovico Ariosto (1474-1533), il letterato che cinquecento anni fa scrisse l’ultimo romanzo cavalleresco e il primo d’epoca moderna: L’Orlando furioso punto focale del passaggio dal linguaggio «locale», protagonista della prima edizione, a quello «classico» dell’edizione definitiva del 1532

 

Palazzo dei Diamanti propone un focus sul poema e la società della sua genesi con la mostra «Orlando Furioso 500 anni. Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi», visitabile fino all’8 gennaio, curata da Guido Beltramini e Adolfo Tura. Il percorso è concepito come un viaggio nell’universo ariostesco esemplificato da opere di molti tra i principali artisti del periodo: Paolo Uccello, Andrea Mantegna, Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Tiziano e Dosso Dossi, solo per citarne alcuni.

 

Tra le opere esposte figurano l’olifante dell’XI secolo, che secondo una tradizione priva di riscontri sarebbe il corno che Orlando risuonò a Roncisvalle nel poema, il disegno della Scena di battaglia di Leonardo da Vinci proveniente dal Castello di Windsor, la terracotta invetriata raffigurante Scipione realizzata dai Della Robbia, il Gattamelata di Giorgione conservato agli Uffizi, la raffinata tavola raffigurante «Andromeda liberata da Perseo» di Piero di Cosimo e la celebre «Minerva caccia i vizi dal giardino delle virtù» di Andrea Mantegna.

 

Redazione GdA, 15 ottobre 2016 | © Riproduzione riservata

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