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Federico Castelli Gattinara
Leggi i suoi articoliNulla di nuovo al Museo Ebraico di Roma ospitato nel complesso del Tempio Maggiore, aperto nel 1960 e completamente rinnovato nel 2005 (è ora diretto da Alessandra Di Castro, nella foto), che espone le raccolte della comunità ebraica cittadina, tra le più antiche al mondo: argenti di Sei e Settecento, tessuti preziosi, pergamene miniate, i marmi scampati alla distruzione delle Cinque Scole, le cinque sinagoghe del ghetto. Dopo i fatti di Bruxelles, Parigi e Copenaghen, nessun cambiamento è stato apportato, né all’allestimento ed esposizione dei tesori, né alla didattica, ma neppure alla sicurezza. C’è da dire tuttavia che in tutta la zona il livello di sicurezza è stato innalzato, con un inizio di pedonalizzazione di via di Portico d’Ottavia (cfr. n. 350, feb. ’15, p. 6) e una presenza rafforzata delle forze dell’ordine, sia nelle postazioni fisse sia nel controllo mobile. Del resto questo non è accaduto soltanto al ghetto, ma anche in altre aree sensibili della capitale, come la zona della basilica di San Pietro e del Vaticano. Qui in particolare, tra gli abitanti del luogo c’è sicuramente una maggiore attenzione, spiega il portavoce della comunità ebraica Fabio Perugia. Del resto è dal terribile attentato alla sinagoga del 9 ottobre 1982, a opera di un commando palestinese, che la sicurezza attorno al tempio, alla scuola e al museo ebraici è rafforzata. Per quanto riguarda il museo in particolare, da allora c’è un presidio di guardie giurate della comunità ebraica e una postazione fissa dei Carabinieri proprio davanti all’entrata. «Ma la cosa più importante, la risposta più giusta e convincente a questo clima, sottolinea Perugia, è la totale assenza di disdette, la presenza al museo di tantissimi visitatori, italiani e stranieri, e di molte scolaresche».

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