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Giovanni Segantini, «Ritorno dal bosco»

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Giovanni Segantini, «Ritorno dal bosco»

A Bassano del Grappa una rilettura di tutto Segantini

Nel Museo Civico l’opera di uno dei massimi esponenti del Divisionismo italiano a confronto con i suoi contemporanei 

«Il vero cosidetto si deve oltrapassare, la pasione febbricitante dell’Arte deve involgere tutto d’un interno tremito. La nervosa comozione che prova l’artista la deve comunicare. Tutti i più piccoli ecessori e segni causali devono essere animati. La vi[t]a deve essere da pertutto, la fatica non deve essere. Davanti al’osservatore tutto si deve fondere in un sol pezzo, in una comozione profonda di vita vera vita palpitante». A ricordare le parole di Giovanni Segantini, uno dei massimi esponenti del Divisionismo italiano, nato nel 1858 ad Arco, in provincia di Trento, e scomparso nel 1899 in Svizzera, è Nicolò D’Agati nel catalogo (Dario Cimorelli Editore) che accompagna la mostra di cui è curatore e che il Museo Civico di Bassano del Grappa (Vicenza) dedica al pittore dal 25 ottobre al 22 febbraio 2025. «L’intenzione, spiega D’Agati, è quella di accompagnare i visitatori dall’inizio alla conclusione della carriera di Segantini, mentre le ultime monografiche tenute su di lui erano ordinate piuttosto per singoli temi: proponiamo una rilettura di tutto il suo percorso mettendo a confronto la sua opera con quella della cultura artistica a lui contemporanea». 

Se infatti Segantini ha avuto una tendenza a romanzare la sua biografia, la mostra punta a contestualizzare con maggiore correttezza storica e scientifica la sua opera e la nascita del Divisionismo. «La prima sezione della mostra, continua il curatore,  riconsegna Segantini alla cultura milanese in quel momento, siamo negli anni ’80 dell’Ottocento, molto avanzata: si sottolinea prima il ruolo della Scapigliatura, con artisti come Tranquillo Cremona, Mosè Bianchi o Daniele Ranzoni, per poi mettere in dialogo l’opera di Segantini con gli artisti della sua stessa generazione, da Leonardo Bazzaro a Emilio Longoni, che condividono le sue ricerche sul colore». Alle spalle della formazione di Segantini, che aveva fatto studi irregolari e nemmeno aveva terminato l’Accademia di Brera, c’era Vittore Grubicy. «Un focus è dedicato alla relazione, intensa e quasi fraterna, con questo colto mercante, un vero e proprio talent scout, che con il fratello Alberto fonda una galleria d’arte commerciale in senso moderno, intuisce il talento di Segantini e gli consente una formazione di respiro internazionale, facendogli conoscere l’opera di artisti come Millet e della scuola de L’Aia, per la prima volta messi a confronto con l’opera di Segantini, che tanta influenza avranno sulla sua pittura, spiega ancora D’Agati. Definire il ruolo di Grubicy permette di svelare la figura di Segantini nel suo farsi: mentre tende nelle sue autobiografie ad attribuirsi l’invenzione del Divisionismo, lo sviluppo del suo senso del colore si radica in realtà nella ricerca già in essere a Milano e prende avvio da lì, così come in Francia il Puntinismo non sarebbe esistito senza l’Impressionismo».

In questa prospettiva, vengono ricostruite le vicende e attribuita una nuova datazione a una delle opere miliari di Segantini, centrale nel periodo del suo soggiorno in Brianza, dove sviluppa la sua personale interpretazione del rapporto panteistico tra uomo e natura: «Ave Maria a trasbordo», dal Segantini Museum di St. Moritz, finora ritenuta del 1886. Al 1882 risale una prima versione, oggi perduta, a causa del deperimento del colore impastato a vernici e a bitume. Nell’inverno tra il 1886 e il 1887, «Grubicy gli chiede di rifarlo applicando la tecnica divisionista, affascinato, forse, dalla visione dell’opera di Seurat all’ottava mostra impressionista a Parigi nel 1886, racconta lo storico dell’arte. È ancora un Divisionismo empirico e non fondato su presupposti scientifici, ma è da qui che prende inizio la nuova strada di Segantini che lavorerà al dipinto sino al 1888, quando gli conferirà l’aspetto che oggi conosciamo». Dai capolavori di questa fase, come «Sole d’autunno», «Contrasto di luce», «Ritorno dal bosco» o «All’Ovile», la mostra arriva poi a concludersi con il tempo in cui Segantini prende a caricare le sue opere di simboli, con l’opera considerata da lui stesso il capolavoro del suo Simbolismo, «La vanità» della Kunthaus di Zurigo: «Ma il suo è all’inizio un Simbolismo di superficie, conclude D’Agati. Solo alla fine della sua vita raggiungerà un equilibrio tra l’essenza naturalista di base con la volontà di idealizzazione, trasfigurando il dato naturale, ma il suo primo e autentico motore resta il fascino per la luce».

Giovanni Segantini, «Allo sciogliersi delle nevi»

Camilla Bertoni, 24 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

A Bassano del Grappa una rilettura di tutto Segantini | Camilla Bertoni

A Bassano del Grappa una rilettura di tutto Segantini | Camilla Bertoni