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«Untitled» (2006) di Salvo, venduto da Christie’s lo scorso 14 ottobre a 201.600 sterline

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«Untitled» (2006) di Salvo, venduto da Christie’s lo scorso 14 ottobre a 201.600 sterline

...e la sera vennero le stelle: Salvo al settimo cielo

La rigorosa catalogazione dell’Archivio favorisce la forte valorizzazione finanziaria del pittore rispetto all’artista concettuale

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Franco Fanelli

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Il record per un dipinto di Salvo (Salvatore Mangione, Leonforte, En, 1947-Torino, 2015) ottenuto il 13 ottobre scorso da Christie’s a Londra con le 693mila sterline (stima 80-120mila) pagate per un’opera del 1991, è la dimostrazione di come un Archivio gestito con rigore e un’accorta promozione dell’opera di un artista possano tutelarne e valorizzarne il mercato, sino a ottenere exploit di questo tipo. «Non so da chi siano arrivate le offerte, ma la vendita fa seguito a una serie di altri record che riguardano la pittura di Salvo», ricorda la figlia Norma Mangione, vicepresidente dell’Archivio Salvo (lo presiede Cristina Tuarivoli compagna dell’artista).

Nel primo semestre di quest’anno sono state realizzate sette delle sue dieci aggiudicazioni più alte di sempre. Il 30 maggio Farsetti vendeva «Senza titolo» del 1989 a 284.799 euro (diritti inclusi), quintuplicando la stima. Il giorno dopo, Christie’s, in una vendita online, batteva a 138.600 sterline (stima 60-80mila) un’opera del 1986: anche in questo caso si trattava di un’opera di grande formato (149x119 cm), al pari di quella venduta da Farsetti (150x200 cm) e di «Il giorno fu pieno di lampi, la sera verranno le stelle» (200x150 cm) il quadro che, per ora, ha stabilito il record assoluto per il pittore italiano. Il dipinto, l’8 maggio 2018, venne battuto in Italia da Cambi Casa d’Aste ottenendo 81.250 euro (stima 30-40mila).
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«I grandi formati sono piuttosto rari sul mercato e quando ne appare uno di questa qualità la gara si accende, spiega Sergio Bertaccini, titolare della Galleria In Arco a Torino, che ha più volte organizzato monografiche di Salvo, il cui studio è situato nei pressi della galleria. Ma il risultato non deve stupire: l’Archivio sta facendo un ottimo lavoro e poi basterebbe scorrere la biografia dell’artista per capire quanto sia sempre stato apprezzato in ambito internazionale, sostenuto da autorevolissimi mercanti, a cominciare da Paul Maenz di Colonia».

Il trend positivo non accenna a rallentare anche per le opere di medio formato: la buona datazione (1987) è un altro elemento che può avere influito sull’eccellente risultato ottenuto da un «Senza titolo» (100x80 cm) che, partito da una stima di 40-60mila euro all’asta Christie’s Parigi del 20 ottobre, che proponeva una cospicua presenza di arte contemporanea italiana, è stato conteso sino all’aggiudicazione a 176.400, nonostante, occorre pur dirlo, la sua struttura assai «minimalista» non concedesse molto all’occhio del collezionista più esigente.

Che gli acquirenti protagonisti dell’attuale Salvomania siano attratti dalle più classiche iconografie dell’artista torinese d’adozione, al di là delle cronologie, lo aveva del resto comprovato, sei giorni prima, un altro «Senza titolo» iconograficamente più appagante (100x70 cm, 2016) battuto da Christie’s a Londra: stimato 60-90mila sterline, e dotato del fatidico tempietto dorico in primo piano, veniva aggiudicato a 201.600. Che i tempi di guerra tragicamente attuali spingano gli appassionati a cercare più rasserenanti atmosfere, trovandole nell’Arcadia continuamente evocata da uno dei più solari pittori contemporanei?

La produzione di Salvo si divide in due fasi: una, cosiddetta «concettuale», verte su autoritratti fotografici e fotomontaggi in cui inserisce il suo volto su immagini di cronaca; poi lapidi con incise brevi frasi e neon con cui, in bianco, rosso e verde, «scrive» il suo nome. È dunque il Salvo «concettuale» quello che viene invitato nel 1972 a Documenta 5 a Kassel, poco dopo l’inizio del rapporto con John Weber di New York. Ma il primo gallerista a proporne l’opera a Torino fu Sperone, che gli dedicò una personale nel 1970. Era il periodo in cui Salvo stringeva amicizia e condivideva lo studio con Alighiero Boetti ed entrava in contatto con gli esponenti dell’Arte povera.

Il suo «ritorno alla pittura», tradizionalmente datato al 1973, era stato in realtà preceduto da alcuni «Autoritratti benedicenti» disegnati tra il 1968 e il 1969. Si riapre, con lui, la ricerca di un dialogo con la pittura storica, all’insegna di un «citazionismo colto» dalle forti valenze concettuali e comportamentali. Invitato a Colonia alla mostra «Projekt ’74», chiede di non esporre alla Kunsthalle, ma al Wallraf-Richartz-Museum, dove il suo «San Martino e il povero» del 1973 (oggi alla Galleria d’Arte Moderna di Torino) è collocato accanto a opere di un pittore per ogni secolo, come Simone Martini, Lucas Cranach il Vecchio, Rembrandt e Cézanne.

Nel 1976, anno in cui partecipa alla Biennale di Venezia con il monumentale «Trionfo di san Giorgio (da Carpaccio)», inizia una nuova fase stilistica. Risalgono a quell’anno i primi paesaggi mediterranei con rovine architettoniche dipinti con una brillante, accesa tavolozza. Ma Salvo dipingerà anche memorabili, silenti notturni urbani (come «Nevicata», 90x110 cm), battuta lo scorso 20 aprile da Sotheby’s a Milano a 120.650 euro (stima 50-70mila) o paesaggi di più libera, esotica (e sottilmente malinconica) ispirazione: sono le tipologie che attualmente stanno scalando i vertici del mercato. Le recenti mostre da Gladstone a New York e da Perrotin a Parigi hanno ulteriormente contribuito a rafforzare la posizione di Salvo sul mercato internazionale, al di là del fatto che le sue opere sono sempre state incluse nelle «Italian Sales».
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«Vorrei chiarire che Gladstone è, con Mehdi Chouakri di Berlino, una delle due gallerie che rappresentano Salvo, precisa Norma Mangione. Le altre, incluso Perrotin, fanno un lavoro di secondo mercato. Ma oltre a queste mostre ne abbiamo organizzate altre, negli ultimi anni, in sedi pubbliche importanti». Ora in molti si chiedono se lo stesso interesse sarà rivolto alla fase precedente a quella pittorica: «Le opere di quel periodo, continua Norma Mangione, sono state realizzate dal 1968 al ’73; poi, per quasi cinquant’anni, Salvo si è dedicato alla pittura. Quindi è normale che si tratti di opere molto meno numerose rispetto alle migliaia di quadri eseguiti da un artista molto prolifico, che per cinquant’anni ogni giorno ha dipinto. In ogni caso, la scorsa primavera, nella Chiesa di Sant’Andrea de Scaphis a Roma, ora gestita da Gladstone, abbiamo allestito una mostra esclusivamente di lapidi, una scelta particolarmente suggestiva che ha ottenuto molto successo».
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Quanto all’atteso catalogo ragionato, Norma Mangione, il cui braccio destro in Archivio è Clara Dagosta, spiega che «bisogna tener conto che mio padre non ha mai scattato una fotografia a una sua opera prima che uscisse dallo studio. Quindi da quando è nato l’Archivio, il nostro primo obiettivo è stato quello di avere un quadro preciso, almeno all’80%, della sua produzione. Attualmente abbiamo catalogato 3mila opere, ma è ancora presto per prevedere una data di uscita del volume. Intanto abbiamo pubblicato con le edizioni Nero una monografia («Io sono Salvo. Opere e scritti 1961-2015» Ndr), un grande lavoro di ricerca durato quasi tre anni, in cui abbiamo pubblicato 400 opere e abbiamo rivisto tutta la biografia, controllando tutta la documentazione e ritrovando anche molti documenti conservati nel suo studio. I saggi sono di Bob Nickas ed Elena Volpato, mentre Sara De Chiara ha ricostruito la vita di Salvo attraverso la storia delle sue opere e un ampio corredo documentario». Ma la pittura di Salvo può ancora riservare sorprese: le nature morte, ad esempio, sono una tipologia che molti collezionisti devono ancora scoprire.

Franco Fanelli, 01 novembre 2023 | © Riproduzione riservata

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