Zehra Doğan in segno di protesta imbratta l’Ambasciata iraniana di Berlino con sangue mestruale e capelli

L’artista e giornalista curda, che manifestava contro la morte di Mahsa Amini, è stata rilasciata dopo un breve periodo di detenzione da parte delle autorità tedesche, ma potrebbe ancora ricevere accuse

Uno screen del video pubblicato su Twitter in cui l’artista Zehra Doğan inscena una performance di protesta presso l’ambasciata iraniana a Berlino contro la morte di Mahsa Amini
Gareth Harris |

Zehra Doğan, artista e giornalista curda in esilio, il 26 settembre ha inscenato presso l’Ambasciata iraniana a Berlino una performance di protesta contro la morte di Mahsa Amini, mentre era in custodia della polizia di Teheran. Amini è morta all’inizio del mese in un ospedale iraniano dopo essere stata arrestata dalla polizia morale del regime per il presunto mancato rispetto delle norme in materia di hijab [il velo islamico, Ndr]. 

La morte della giovane 22enne ha scatenato proteste di massa ancora in corso a Teheran e in altre città come Yazd, Isfahan e Bushehr. Il gruppo Iran Human Rights, con sede a Oslo, riferisce che almeno 76 persone sono state uccise a causa della repressione da parte dello Stato, che ha anche deciso di limitare l’accesso della popolazione a WhatsApp e Instagram.

Secondo un portavoce di Doğan, l’artista ha imbrattato le ringhiere esterne dell’ambasciata con una miscela di henné, capelli e sangue mestruale: «Questa [azione] era per sostenere la resistenza delle donne iraniane». Lo conferma un video pubblicato su Twitter in cui si vede Doğan camminare verso l’ambasciata e imbrattare le sbarre, prima che due agenti delle forze dell’ordine la allontanassero dal luogo. Il tweet recita: «Berlino, [Ambasciata] iraniana. Siamo di fronte a loro con ciò che maledicono: sangue mestruale, henné e capelli. Non siamo sole, siamo ovunque!».
Da giorni in Iran proseguono manifestazioni e proteste contro le leggi del governo
Nel frattempo Doğan è stata rilasciata, e fa sapere che l’accaduto per ora non è stato sanzionato, anche se il consolato iraniano potrebbe esigere una multa per danneggiamenti alla proprietà. Nel frattempo qualche giorno fa il padre di Mahsa Amini aveva accusato le autorità iraniane di mentire, dichiarando che al fratello Kiarash erano stati confessati gli atti violenti della polizia. Le autorità iraniane hanno invece risposto che Amini non è stata maltrattata, ma è stata colpita da un’«improvvisa insufficienza cardiaca».

Doğan era stata rilasciata da un carcere in Turchia all’inizio del 2019 dopo aver scontato 25 mesi con l’accusa del tribunale turco di «diffusione di propaganda terroristica». All’inizio del 2016, lavorava come reporter e dipingeva nel suo studio a Nusaybin, una città della provincia curda di Mardin. Nel marzo 2017, un secondo tribunale penale turco di Mardin ha condannato Doğan a due anni e dieci mesi di carcere per aver pubblicato sui social media un dipinto che ritraeva la città curda distrutta di Nusaybin, con bandiere turche drappeggiate sulle rovine fumanti (l’opera era basata su una fotografia).

Durante il periodo di detenzione, Doğan ha ideato pigmenti a base di sangue mestruale, erbe e spezie tritate, fondi di caffè e cavoli per dipingere su giornali, cartone e ritagli di vestiti. In totale ha creato più di 300 opere, portandole di nascosto fuori dalla cella come biancheria sporca. Parte di queste è stata esposta nel 2021 durante la sua personale nella Project Room del PAC di Milano e prima nel 2019 a Brescia.

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