Weekend d'autunno | Chandigarh a Milano

Itinerari d'autore per visite veloci senza assembramenti nei fine settimana del Covid

L’ex Istituto Marchiondi Spagliardi progettato da Vittoriano Viganò a Milano
Marco Riccòmini |  | MILANO

Mi sono informato, c’è un volo che parte alle otto e cinquanta... ma quest’anno, visto come vanno le cose, mi sa che rinunceremo al Nord dell’India. E allora? Allora occorrerà fare di necessità virtù e trovare l’esotico nel familiare, nel rispetto del «distanziamento sociale», alla ricerca di angoli del Bel Paese che ci facciano ricordare il brivido della scoperta, ma in «sicurezza».

A Milano l’offerta non manca. Ma come compensare l’emozione di aggirarsi tra il cemento smangiato di Chandigarh, la città ideale pianificata nel dopoguerra da Le Corbusier nel Punjab, se sono sulle rive del Naviglio? Da Cadorna prendo la linea 58 fino al capolinea. Quando scendo trovo un prato sul cui fondo scorre una recinzione metallica, assalita dall’edera, dietro la quale s’erge un edificio abbandonato.

Sembra un bunker, in cui negli anni hanno trovato riparo vandali, graffitari e squatter. «Ma questo è matto da legare», penserete. Lo pensavano anche di Vittoriano Viganò, che progettò l’(ex) Istituto Marchiondi Spagliardi, che ho davanti. Perché quel cemento armato a vista, le travi nude che escono dalla terra come contrafforti d’una cattedrale gotica, offendevano la vista dei benpensanti, ignari di quel che accadeva in architettura nel resto del mondo.

Capolavoro del Brutalismo italiano (dal francese «béton brut», che significa cemento armato), l’edificio sorse nel 1958 come scuola per ragazzi «difficili» che Viganò concepì, illuministicamente, come laboratorio sperimentale privo di sbarre. Oggi è in rovina, e fargli visita è un modo di tenerne viva la memoria. Rispetto a Chandigarh mancano i sikh in divisa khaki e turbante rosso, la baionetta innestata sul fucile Lee-Enfield, ma in compenso faccio in tempo a tornare a casa per pranzo.

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