Vive nel «Caos» l’archivista del mercato dell’arte

Nella sua moderna «Biblioteca d’Alessandria»: 30 milioni di indici, 802mila artisti e 6.500 case d’asta. Da lì Thierry Ehrmann osserva il mondo. Nel 2022 sei opere hanno superato i 100 milioni di dollari, il 56% del venduto è sotto i mille euro e il tempo di conservazione dei lavori si è ridotto. E pensa che il futuro siano Nft, Metaverso e i musei gratuiti

Thierry Ehrmann
Michela Moro |

Thierry Ehrmann, nato ad Avignone, in Francia, nel 1962, è certamente meno noto delle aziende di cui è presidente, prima tra tutte Artprice, banca dati che produce informazioni chiave sul mercato dell’arte sia per il pubblico sia per le principali agenzie di stampa e media (lavora con 7.200 pubblicazioni internazionali). Artprice è uno dei punti di riferimento mondiali per il mercato dell’arte e delle aste: accumula informazioni da 6.500 case d’asta, consultate da 5,4 milioni di utenti, che hanno accesso agli annunci pubblicati da altri utenti. Questa rete rappresenta il Global Standardized Marketplace®, uno dei leader nella compravendita di opere d’arte. Insomma, per sapere il valore di un’opera Artprice è una delle prime banche dati da consultare.

Artprice by Artmarket.com è una società di Server Group, fondato da Ehrmann nel 1987. Il Server Group è un raccoglitore e distributore di banche dati giudiziarie, legali ed economiche. Uno dei principali obiettivi dell’azienda è promuovere la trasparenza delle informazioni e l’accesso al pubblico attraverso le nuove tecnologie dell’informazione, e aprire mercati prima opachi utilizzando la conoscenza del diritto e dei media elettronici. Server Group è stato tra i primi database collegati a internet nel marzo 1985, diventando uno degli Isp, Internet Service Provider, più longevi della Francia, con una profonda cultura internet e del web.

Ma il poliedrico Ehrmann è anche un artista, uno scultore molto prolifico e un avido collezionista di arte contemporanea, mobili medievali, sculture e opere d’arte cinesi. Vive a Saint-Romain-au-Mont-d’Or, vicino a Lione, nella «Dimora del Caos» (la «Demeure du Chaos») una proprietà che ha come epicentro un edificio seicentesco trasformato in museo privato, anzi in un’opera totale e immersiva, realizzata non senza polemiche con il territorio, che ospita le opere prodotte da Ehrmann, in genere enormi sculture in acciaio, altre di artisti underground e personalità affermate, ed è anche sede di Server Group, quindi di Artprice. Da qui Thierry Ehrmann governa le due realtà, quella artistica e quella professionale.

Ci racconta delle sue due anime? Quanto l’artista influenza l’imprenditore e viceversa?
Bernard Arnault, il proprietario di Lvmh, mio ex socio, mi ha fatto la stessa domanda. Solo un artista visivo come me, intriso di scienza e numeri, poteva progettare Artprice, 25 anni fa. Lavoro vicino a uno dei miei maestri, Richard Serra, e quando realizzo una scultura monumentale di decine di tonnellate di acciaio penso anche al mercato dell’arte e alla sua evoluzione, due argomenti inseparabili dalla mia sensibilità.

Quando iniziò a costruire Artprice.com, che esamina il mercato globale dell’arte, aveva in mente un progetto così completo ed esteso?
Sono stato uno dei principali pionieri di internet in Europa: ho immaginato di rifare la Biblioteca di Alessandria nel mercato dell’arte, uno dei mercati più antichi del mondo. Ripeto spesso la frase che ho pronunciato alla presenza delle principali banche, Fondazione Monte dei Paschi, Degroof & Petercam, Société Générale, Axa, Goldman Sachs, durante un convegno a New York: «Il mercato dell’arte è come i mercati finanziari, 10 volte più crudele e 10 volte più intelligente». Per questo continuo la mia conquista del Santo Graal con Artprice, all’età di 60 anni. Immagino i prossimi vent’anni con Metaverso e Nft.

Come si è evoluto Artprice nel tempo?
Abbiamo iniziato acquistando negli anni ’90, prima in Europa e poi negli Usa, tutti i più grandi libri di prezzi e storia del mercato dell’arte nel mondo, in particolare il Dictionary of Art Sales (1700-1900) di Hippolyte Mireur, il fondo editoriale leader negli Stati Uniti «Sound View Press», che comprende tra gli altri «Who was who in American Art», la famosa guida di Enrique Mayer (1962-87) e una quarantina di editori di partecipazioni d’arte e documentaristiche in tutto il mondo. Poi abbiamo lavorato con i nostri storici, econometrici ed editori per 25 anni all’arricchimento di dati cartacei, manoscritti e cataloghi dal 1700, per portarli al digitale, comprese le nostre correzioni, i nostri commenti editoriali e le nostre competenze. Ora stiamo programmando Artprice Metaverse by Artmarket, con un livello di digitalizzazione che corrisponde agli standard del patrimonio europeo del 2025 (ftp1.serveur.com).
Gli uffici di Artprice
Può darci qualche cifra su Artprice? Quanti utenti avete, qual è il vostro giro d’affari?
Artprice è il leader mondiale nei database sui prezzi e gli indici dell’arte con oltre 30 milioni di indici e risultati di vendita che coprono più di 802mila artisti. I nostri database Artprice Images® danno accesso illimitato alla più grande collezione del mercato dell’arte del mondo, una biblioteca composta da 180 milioni di immagini o incisioni di opere d’arte dal 1700 a oggi, commentate dai nostri storici. Artmarket, con il suo dipartimento Artprice, arricchisce costantemente i suoi database di 6.500 case d’asta e pubblica continuamente le tendenze del mercato dell’arte utilizzate dalle principali agenzie e da 7.200 testate giornalistiche in tutto il mondo. Nel 2005 abbiamo creato il primo Standardized Marketplace® al mondo per acquistare e vendere opere d’arte a un prezzo fisso o all’asta. Il nostro fatturato annuo è di 8/10 milioni di euro. Non include la quantità di transazioni dal nostro Standardized Marketplace®. Artmarket.com è quotata su Eurolist di Euronext Paris e su SRD Long Only.

È cambiato l’approccio all’arte nel post Covid? L’arte ha perso o guadagnato valore?
Il mercato dell’arte ha un’organizzazione più dinamica e più globalizzata rispetto a prima della crisi sanitaria, grazie in particolare alla sua digitalizzazione. Le aste si sono adeguate per affrontare gli episodi di confinamento, garantendo così la continuità degli scambi attraverso le vendite online. Risultato: le aste avevano già ripreso la loro piena intensità nel primo semestre del 2021, mentre i musei vi arrivano solo due anni dopo. Oggi le vendite online e le vendite fisiche sono la stessa cosa, ma la possibilità di fare offerte online ha notevolmente aumentato il numero di offerenti. Artprice osserva quindi che non ci sono mai state così tante transazioni nelle sale d’asta e riconosce il fatto che il mercato di fascia alta è più forte che mai: sei opere hanno superato i 100 milioni di dollari nel 2022 (di cui cinque della collezione Paul G. Allen). Ciononostante, Artprice Global Price Index è rimasto stabile negli ultimi due anni, grazie al fatto che, a fronte di risultati eccezionali, non sono mai stati venduti così tanti lotti a prezzi accessibili: nel 2022 il 56% delle opere è stato acquistato a meno di 1.000 euro. Il mercato dell’arte attira costantemente nuove opere e nuovi collezionisti. Notiamo anche che il tempo di conservazione delle opere è ridotto: i pezzi tendono a spostarsi più velocemente da una collezione all’altra, da un continente all’altro, rendendo così più fluido il mercato.

Dopo la pandemia, le modalità di acquisto sono cambiate?
Quando, nel 1985, è arrivato internet, inizialmente era uno strumento di ricerca per banche dati, per preparare transazioni, per stimare lavori ecc. e noi eravamo già presenti. Poi i social network hanno permesso di scoprire artisti, curatori e collezionisti. È solo negli ultimi anni che il processo di acquisto e vendita di opere su internet ha subito un’accelerazione. Artprice ha contribuito a questa digitalizzazione del mercato dell’arte fin dall’inizio, offrendo accesso illimitato a database completi, pubblicando statistiche e indici scientifici unici al mondo e sviluppando un Marketplace il più aperto possibile. Abbiamo inoltre osservato con grande interesse molti attori unirsi improvvisamente a questa rivoluzione digitale all’inizio della crisi del Covid-19. Mostre, fiere e vendite sono poi ripresi fisicamente, ma nuovi problemi energetici stanno a loro volta mettendo in discussione le nostre abitudini. È probabile che le soluzioni digitali avviate da Nft e Metaverso saranno al centro del mercato dell’arte di domani, sia ecoresponsabile che globalizzato. Ecco perché Artprice sviluppa i suoi Metaverso da tre anni.

Nota differenze tra l’Italia e il resto del mondo?
L’Italia non fa eccezione a questa dinamica. Il Paese beneficia della coesistenza delle case d’asta nazionali e dei colossi Sotheby’s e Christie’s. Queste, come le grandi gallerie, assicurano uno scambio tra l’Italia e le capitali del mercato di fascia alta (New York, Londra, Hong Kong ecc.). Questi player internazionali sono in grado di far salire i prezzi dei grandi artisti italiani con quelli dei loro coetanei di altri Paesi. Così, a novembre 2022, Sotheby’s ha venduto a Milano una «Natura morta» del 1959 di Giorgio Morandi per 3,4 milioni di euro, la migliore vendita (commissioni incluse) nella storia delle aste in Italia.
L’archivio storico di Artprice
Dal suo privilegiato punto di osservazione, com’è andato il mercato nel 2022?
È stato un anno prospero negli Stati Uniti e in Europa, e stabile su scala globale, in particolare dopo la politica zero Covid in Cina, che è il secondo attore al mondo. Attualmente stiamo consolidando i nostri risultati per la copertura completa delle case d’asta e la nostra revisione del 2022 sarà pubblicata all’inizio di marzo. Dal nostro studio in corso è già emerso che negli ultimi dodici mesi i collezionisti sono stati particolarmente attenti alle opere eccezionali delle grandi collezioni (Givenchy, Ammann, Paul G. Allen ecc.) e ai pezzi iconici del XX secolo: Boetti, Steichen, Man Ray, Beckmann... Una competizione internazionale, concentrata principalmente tra New York, Londra e Hong Kong, ha spinto a livelli spettacolari anche il prezzo dei giovani artisti. Anna Weyant, ad esempio, classe 1995, ha fatto registrare l’offerta più alta della storia per un’artista under 30: 1,5 milioni di euro.

La sua passione per l’arte è un’eredità o è stata una sua scelta?
Provengo dalla grande borghesia industriale, conoscevo l’arte fin dalla tenera età, tramite il mio tutore domenicano. Tuttavia, diventando massone presso la Gran Loggia Nazionale Francese (GLNF) a 23 anni, ho scoperto l’Arte Reale, che è il lato artistico dell’alchimia. E 37 anni dopo, la Grande Opera vive in me più che mai.

Compra all’asta? Ha comprato qualcosa quest’anno?
Essendo un collezionista di mobili d’epoca da 35 anni, cerco pezzi da museo di altissima qualità, come ad esempio la «Pala d’altare del Brabante», che è stata una grande asta in Europa.

Quando acquista, con quale criterio sceglie le opere?
Ci sono due possibilità: o opere di qualità museale, con tracciabilità irreprensibile, che controllo sui nostri database Artprice; oppure opere di artisti venduti all’asta per la prima volta, come Yan Pei-Ming che è esploso dopo l’acquisto del suo ritratto di Mao del 1999 (3x3 m). Pinault è subentrato a me e Yan Pei-Ming mi ricorda sempre quel momento magico che io chiamo «la seconda nascita», quando un artista viene messo all’asta per la prima volta. Come regola generale, da 30 anni, faccio ordini ai giovanissimi artisti che ho in mente. Guardando indietro, penso che le scelte siano state sagge quando vedo i loro risultati attuali.

Che cosa la fa decidere di acquistare?
Generalmente l’originalità del lavoro. Sono un seguace della definizione di «cosa mentale» di Loenardo da Vinci. L’originalità per me è la parte del cervello dell’artista incarnata nell’opera.

Rivende le opere della sua collezione?
In linea di principio conservo tutti i pezzi della mia collezione, compresi gli errori della giovinezza, che mi ricordano l’evoluzione del mio gusto, la mia ragion d’essere attraverso questi lavori. Ovviamente la mia collezione è fondamentalmente composta da opere di grande «volume», tra cui i miei maestri, come César o Arman, ogni volta con i diversi periodi che rappresentano le loro introspezioni nel volume. Non rivendo mai le opere che possiedo, rappresentano il peso dei miei errori, il mio ego, ma anche la mia sensibilità, che trasmetto ai miei eredi e alla mia Fondazione.

Frequenta le gallerie? Le piacciono le fiere?
Mi piace la discrezione e preferisco andare negli studi, se necessario, con mercanti storici. Le fiere mi mettono in trance e osservo attentamente il mio percorso: una parte del mio cervello studia minuziosamente gli artisti e le loro opere esposte, l’altra la provenienza geografica degli espositori e il loro fatturato.
L’ingresso della Demeure du Chaos
Vive nella sua «Dimora del Caos», un misto di innovazione, ricerca, respiro internazionale, investimenti importanti e attenzione al territorio, se non altro per renderlo «diverso» da quello che era. Che cosa può dirci del suo progetto artistico?
Mi ricollego solo alla grande tradizione in cui l’artista è al centro del sapere umanistico, nell’età dei Lumi. Faccio mia la citazione di Giorgio Agamben «Contemporaneo è colui che riceve in pieno viso il fascio di tenebra che proviene dal suo tempo». Per questo la «Dimora del Caos», creata nel 1999, è per me lo Specchio Alchemico del nostro mondo. Grande, eterno viaggiatore, ho dovuto, tra tutti i miei viaggi, restaurare il prossimo futuro della nostra decadenza. Per me il nostro XXI secolo, tragico e sontuoso, è nato nelle braci dell’11 settembre.

Vive lavorando nel luogo in cui abita da molto tempo, al di fuori di una grande città. Perché questa decisione?
La «Dimora del Caos», secondo il «New York Times», è un monastero moderno. Siamo in un cambio di paradigma che avviene ogni 300 anni. Dopo il passaggio dalla tradizione orale a quella scritta, ci stiamo spostando dall’analogico al digitale. Per questo la «Dimora del Caos» racchiude nelle sue viscere i miei data center oltre che la più grande collezione archivistica al mondo di cataloghi d’arte dal 1700 ai giorni nostri. Come scultore plastico, vivo in una camera da sogno con centinaia di schermi internet che mi hanno connesso al mondo dal 1985.

Lei riceve molti visitatori nei fine settimana, quando la «Dimora del Caos» è aperta gratuitamente. Quanti quest’anno? Dobbiamo desumere che la sua visione dell’arte è pubblica?
La «Demeure du Chaos» ha accolto 180mila visitatori all’anno fino al Covid: dalla sua apertura al pubblico nel 2006, quasi 2,3 milioni di visitatori, il 25% dall’estero. Il percorso museale all’aperto si estende su 9mila metri quadrati, dove il pubblico può facilmente fotografare le 6.300 opere tra cui 4.500 sculture e installazioni che è possibile toccare. Le mie sculture sono costituite da monumentali blocchi di acciaio del peso di decine di tonnellate, cosa che permette di interagire con esse e, per quanto possibile, di abbracciarle voluttuosamente. L’ingresso gratuito al Museo fa parte della Fondazione, perché continui ad vitam, nella condivisione e nell’accesso alla cultura per tutti.

Che cosa migliorerebbe nell’approccio alla cultura, soprattutto quando si tratta di arte?
L’ingresso gratuito ai musei è essenziale, fin dalla tenera età. I musei sono per me le cattedrali del XXI secolo.

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