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Una norma da eliminare

Fabrizio Lemme

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Il silenzio-rigetto nei ricorsi gerarchici, subdola scappatoia da casi spinosi

Nel numero di luglio-agosto 2015 di «Il Giornale dell’Arte» ho pubblicato un articolo su un convegno fiorentino del maggio scorso, cui ho partecipato come relatore, che aveva a oggetto «Attestati di libera circolazione: insopportabile discrezionalità». In tale sede ho sostenuto, innanzitutto, che il nodo del problema fosse nel ricorso gerarchico al Direttore generale dell’Amministrazione dei Beni culturali, accordato al proprietario dell’opera da esportare avverso i provvedimenti negativi (diniego dell’attestato di libera circolazione; vincolo del bene culturale) adottati in sede locale.

Ho messo altresì in evidenza come la tutela fosse, a volte, platealmente soppressa, in quanto la Direzione Generale chiamata a decidere ha ormai adottato una prassi: non rispondere, nel termine di 90 giorni dalla presentazione del ricorso, determinando la formazione del silenzio-rigetto, impugnabile in sede giurisdizionale e quindi «la vanificazione nei fatti dell’unico rimedio che consenta il sindacato di merito».

Scrivendo in questo giornale, con il quale mi rivolgo anche ai «non addetti ai lavori», sono necessarie alcune precisazioni.

La prima: il ricorso gerarchico contesta il provvedimento negativo sul piano della legittimità e su quello del merito. In altri termini, con il ricorso gerarchico è possibile contestare un provvedimento di autorità locale non solo sul piano della sua coerenza con la legge, ma anche su quello della opportunità.

La seconda: nel ricorso giurisdizionale, viceversa, il sindacato di opportunità è sicuramente precluso, essendo possibile introdurre solo censure relative alla coerenza del provvedimento con la legge di tutela. 

Tenuto presente che è possibile costruire un apparato logico coerente anche per vincolare una crosta, non è chi non veda come la tutela sul piano dell’opportunità sia assai più ampia di quella che si limita alla mera legittimità. Questa realtà ha indotto la Pubblica Amministrazione a rendere del tutto vana la tutela sul piano dell’opportunità ricorrendo a uno strumento che pur la legge consente. Infatti, con l’art. 6 del Dpr 1199/71 (uno dei ricorrenti testi normativi che, volendo migliorare il funzionamento della Pubblica Amministrazione, raggiungono l’effetto contrario: riforma Franceschini docet!), veniva previsto che, ove nel termine di giorni 90 dalla proposizione il ricorso gerarchico non fosse stato deciso, esso doveva ritenersi rigettato, così aprendosi la strada alla successiva fase del ricorso giurisdizionale, istituzionalmente limitato alla legittimità. Tale norma è richiamata nell’art. 69 del D.Lgs. 42/04 e opera pertanto anche nella materia del Diritto dei beni culturali. Dunque, la Pubblica Amministrazione, non rispondendo al ricorso gerarchico, priva il soggetto ricorrente di un vero e proprio strumento di giustizia: il sindacato del provvedimento sul piano della discrezionalità amministrativa.

Conseguenza: molto meglio non rispondere che rispondere, evitando in tal modo che nella risposta si incorra in qualche vizio logico, idoneo a radicare un sindacato di legittimità. Quindi, la scelta della mancata risposta sta diventando una vera e propria prassi, con effetti devastanti: si assiste alla concessione dell’attestato di libera circolazione per capolavori che rappresentano autentiche testimonianze di civiltà e alla negazione dell’attestato per opere minori se non addirittura minime o autentiche carabattole, senza alcuna possibilità di dedurre utilmente simili insopportabili incoerenze!

Per questo ho proposto una modifica legislativa della disciplina in materia di ricorso gerarchico, ma la mia proposta è rimasta «vox clamantis in deserto»: gli antiquari (ossia, i massimi interessati al problema) preferiscono la via del lamento o del mugugno piuttosto che assumere iniziative concrete.

Peraltro, in questa situazione, ho escogitato un ulteriore tentativo: contestare una norma giuridica che, da un lato, consente alla Pubblica Amministrazione di privare il cittadino di uno strumento di giustizia; dall’altro lato, si pone in aperto conflitto con il principio opposto, proclamato nell’art. 2/1 Legge 241/90, che la Pubblica Amministrazione debba sempre concludere l’iter del procedimento amministrativo.

La norma denunziata (art. 69 D.Lgs. 42/04 in relazione all’art. 6 Dpr 1199/71), infatti, a mio avviso, si risolve in una vera e propria denegata giustizia, in contrasto con l’art. 24 Cost. e d’altro lato confligge con il principio di razionalità dell’ordinamento giuridico, che non tollera, al suo interno, disposizioni confliggenti. La questione, da me sollevata in due procedimenti avanti al Tar del Lazio, è ancora sub judice: il giudice amministrativo deve infatti decidere se il suo fondamento sussista o meno.

Vi sarebbe peraltro uno strumento per evitare il cosiddetto «incidente di legittimità costituzionale»: sottoporre l’ordinamento a una interpretazione costituzionalmente orientata, in virtù della quale la legge successiva (art. 2/1 Legge 241/90) abbia implicitamente abolito la legge precedente (art. 6 Dpr 1199/71). Infatti, l’art. 15 delle Preleggi prevede l’effetto abrogativo implicito «per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore»: dunque, si potrebbe anche sostenere questo effetto abrogativo implicito, come prospettato al Tar.

Il ricorso al giudice delle leggi è configurato come una «extrema ratio» e i giudici ordinari, da qualche tempo a questa parte, quando sia possibile rendere l’ordinamento giuridico coerente con la Costituzione senza doversi rivolgere al giudice delle leggi, preferiscono, del tutto a ragione, questa seconda strada.

Una cosa è comunque certa: la strada della mancata risposta al ricorso gerarchico è una via subdola e inammissibile per risolvere i ricorsi gerarchici più «spinosi» che vengono proposti a contestazione di ingiustificati dinieghi di esportazione. Quale che sia lo strumento da adottare, pertanto, il silenzio-rigetto deve essere eliminato dal sistema.

Fabrizio Lemme, 19 gennaio 2016 | © Riproduzione riservata

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