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Francesca Petretto
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Monica Bonvicini alla Berlinische Galerie
Veneziana di nascita e berlinese d’adozione, Monica Bonvicini (1952) riflette su modi e luoghi dell’arte contemporanea. Lo conferma la personale alla Berlinische Galerie sino al 26 febbraio. La sua critica all’ossatura sociale-architettonica degli spazi che ospitano la mostra (loro, 3.612,54 metri cubi contro lei, appena 0,05 metri cubi di corpo) è magistrale. L’artista smaschera la struttura del potere, ipersessuato e di genere, con gli strumenti stessi di cui esso si serve per comunicare e soggiogare: fruste, fibbie, catene e manette, oggetti di pratiche fetish, sono il materiale base utilizzato.
Per l’occasione, fino al 26 febbraio, vengono presentate due grandi installazioni pensate ad hoc per i megaspazi industriali del museo. La prima, frammento di cantiere a tutt’altezza, è un’impalcatura a vista che blocca e limita il passaggio dalla hall, alta 10 metri, alle sale espositive. I nostri miseri 0,05 metri cubi sono nulla sotto l’incombente struttura, ma abbastanza per il freddo varco ricavato in essa. La seconda, appesa al soffitto, è una sorta di scopa a cinghie di pelle che fustiga l’aria in tutte le direzioni, con improvvisi mutamenti di ritmo, provocando un misto di paura e incantamento nel piacevole assecondarne i tempi.
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