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Una certa idea di futuro: Recovery fund e cultura

Riflessione sul futuro delle organizzazioni culturali a partire dalla lettura del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) in discussione

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Redazione GDA

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“La catastrofe richiede un nuovo inizio. E solo un nuovo modo di pensare può portare a un nuovo inizio” [1]

A partire dalla lettura delle scelte allocative delle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) attualmente in discussione (versione del 12 gennaio 2021), questo articolo si propone di avviare una riflessione sul futuro che si prospetta alle organizzazioni culturali e ai loro interlocutori abituali. In questo momento, in cui grande è la confusione politica e sociale a livello nazionale e internazionale, e grande l’incertezza fra gli operatori culturali, la disponibilità di risorse (tante, da impegnare in fretta) è inevitabilmente destinata ad avere un impatto molto significativo nel formare il contesto in cui ciascuna organizzazione si trova ad operare.

IL PNRR
Il Piano Nazionale, è costruito sulle raccomandazioni al paese della Commissione europea: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale, e si struttura in 6 missioni, che declinano le raccomandazioni in 16 componenti e 47 linee di intervento, con una particolare attenzione a tre “priorità trasversali” (io direi tre categorie di destinatari): donne, giovani e Sud. L’idea di fondo è aumentare la qualità e la quantità di occupazione femminile, allargare e migliorare le prospettive occupazionali di qualità per i giovani, rafforzare i territori in particolare al Sud attraverso interventi infrastrutturali.

La manovra nella versione ad oggi disponibile “vale” 208,6 miliardi di euro all’interno del programma europeo Next Generation EU:
- 193,1 mld in sussidi e prestiti previsti per l’Italia dal Recovery Fund. Di questi, 63,1 mld vanno a finanziare alcune politiche e progetti già in essere; nelle intenzioni, e volendo semplificare, la nuova versione del piano distingue fra le risorse destinate a incentivo e quelle ad investimento, con un orizzonte temporale più lungo e, sperabilmente, a maggiore ricaduta economico sociale nel lungo periodo;
- 13,5 mld di React-EU, una iniziativa europea del valore complessivo di 55 mld destinata all’occupazione e alle fasce deboli attraverso i programmi del Fondo europeo di sviluppo regionale (il FESR), il Fondo sociale europeo (FSE) e il Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD); questi fondi riguardano due terzi delle risorse previste nel PNRR per il Sud
- 0,5 mld dal Just Transition fund, 40 mld in Europa nel periodo 2021-2024 da utilizzare in cofinanziamento con altri fondi europei per sostenere la transizione verso la sostenibilità ambientale.
- 1,3 mld da altri progammi.

È rilevante evidenziare da dove provengono le risorse, non solo e non tanto per capire la natura dei contributi, quanto per cogliere lo spirito degli incentivi e i soggetti titolati ad “intercettare” i fondi. Non solo: la pluralità delle fonti di copertura delle risorse sottolinea da un lato la volontà di integrare le politiche a livello nazionale, ma dall’altro evidenzia ancora una volta che la finestra di disponibilità che si aprirà nel prossimo futuro è molto ampia e intercetta anche risorse ulteriori rispetto a quelle tecnicamente disponibili attraverso il Recovery Fund. Detta in altro modo, mancata questa opportunità, le alternative disponibili si riducono considerevolmente.
Ed è anche rilevante considerare la responsabilità collettiva che ci stiamo assumendo nei confronti delle generazioni più giovani, che emerge drammaticamente nella figura sottostante. È noto che il nostro paese è fortemente indebitato; nell’orizzonte di programmazione il documento ipotizza di tornare ai livelli di indebitamento sul PIL del 2019 nel 2031.

LE RISORSE PER LA CULTURA
La componente 3 della missione 1 (Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura) è specificamente rivolta ai settori della cultura e del turismo. Vale 8 mld di euro, distribuiti su 3 macro  linee di investimento:
- grandi attrattori (interventi di restauro e rifunzionalizzazione di grandi complessi; organizzazione e valorizzazione del patrimonio culturale digitale di biblioteche musei e archivi; accessibilità fisica ai siti e sviluppo di Cinecittà);
- aree rurali e periferiche (centri culturali partecipati nelle periferie, riqualificazione di   borghi, restauro e valorizzazione luoghi di culto e giardini storici, linee ferroviarie storiche e cammini);
- turismo e imprese creative e culturali.

La versione precedente della bozza del piano (29 dicembre) delinea con un po’ più di dettaglio i progetti ipotizzati. Domina la logica “patrimoniale” (restauriamo gli edifici, il resto verrà con una attenzione alla distribuzione geografica e ad una certa distribuzione settoriale). Il ruolo scelto dal governo centrale è chiaro quando si tratta di creare il contesto “fisico” su cui innestare l’azione di altri operatori o di lavorare sulle organizzazioni culturali che governa (per esempio per quanto riguarda la digitalizzazione degli archivi). Sarà interessante guardare ai progetti relativi ai grandi attrattori per valutare come entreranno a fare parte dell’infrastruttura culturale delle città “fortunate” e diventare effettivamente motori di attivazione di sviluppo.

Più ambiguo e di difficile interpretazione dal testo è il tema della valorizzazione, che è un termine comunque utilizzato in diversi progetti; sarebbe molto importante a questo punto aprire un dibattito sulla natura dei risultati attesi e sui tempi di intervento e fare in modo che la disponibilità di risorse diventi occasione per attivare quello che il PNRR vuole ottenere, ma che riguardo alla cultura è in massima parte da progettare. Trovo molto interessanti i riferimenti agli archivi digitali e coraggiosa la scelta di avere scelto una biblioteca fra i progetti dei grandi attrattori; rendere i documenti non solo disponibili in rete, ma anche fruiti e strumento di generazione di nuova conoscenza è una scommessa entusiasmante, soprattutto se ci si propone di muoversi in logica di medio periodo con chiari obiettivi di risultato.

IMPARARE DALLE DONNE
Il fatto che il PNRR abbia identificato le donne come una categoria di destinatari privilegiata è anche il risultato di una significativa e capillare mobilitazione trasversale finalizzata ad “inserire” la questione femminile in tutte le agende - non solo a beneficio delle donne - e coerente con gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Credo che le organizzazioni culturali possano e debbano imparare da questa strategia “di sponda”, con l’obiettivo di intercettare anche risorse non specificamente destinate alla cultura, ma che potrebbero beneficiare anche le organizzazioni culturali. Per esempio, il PNRR ipotizza uno stanziamento per la “digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella P.A.” [2]. Una delle linee di intervento riguarda il reclutamento di personale nella P.A., l’adeguamento delle competenze nella direzione di una maggiore diffusione di competenze digitali e o sviluppo di nuovi strumenti organizzativi e modelli di lavoro pubblico. Le istituzioni culturali statali e alcune civiche potrebbero essere fra i beneficiari di una parte di queste risorse, ma ovviamente dovranno negoziare sulla base di una riflessione in merito ai ritorni (educativi, sociali, economici e di attrazione) che le competenze digitali di chi lavora negli istituti di cultura possono portare.

Ancora, la stessa linea di intervento ipotizza la creazione di poli territoriali per “centralizzare lo svolgimento dei processi di reclutamento, formazione, co-working e smart-working, con lo scopo di incrementare la produttività, l’inclusione sociale e la sostenibilità ambientale” [3]. A quali condizioni è possibile immaginare che i sistemi bibliotecari possano candidarsi in alcuni territori a svolgere questo ruolo?
Infine, le risorse destinate all’efficientamento energetico degli edifici riguarda con linee dedicate scuole e ospedali, ma una linea di investimento ha a che fare con gli edifici pubblici [4].

UN POSSIBILE APPROCCIO
Non si tratta solo di intercettare quante più risorse possibili, ma di usare il PNRR per introdurre concretamente un po’ di logica degli obiettivi di sviluppo sostenibile nelle pratiche e nell’offerta delle organizzazioni che si occupano di cultura. A titolo di esempio:

Rispetto alle pratiche, un nodo da risolvere in ambito culturale è la equa remunerazione del lavoro. L’emergenza ha messo in luce quanta parte della forza lavoro occupata nei settori culturali sia costituita da lavoro volontario, “forzatamente volontario”, sottopagata, o caratterizzata da contratti precari. E ha altresì mostrato come sia difficile distinguere in molti casi (ad esempio nella produzione autoriale) fra pratica e produzione. Inoltre, è noto che i mondi della cultura si caratterizzano per una elevata incidenza di lavoro femminile.  Ebbene: si dibatte sull’inserimento della valutazione di impatto di genere sulle politiche pubbliche (e il PNRR destina risorse a questo): personalmente lo considero un esercizio tutt’altro che semplice ex post, ma potente ex ante per costringere ad orientare lo sguardo su come si comporta metà della popolazione [5]. Penso che questo atteggiamento porti inevitabilmente molta innovazione nei prodotti e nelle pratiche; e l’espressione che usiamo da mesi, “niente sarà come prima”, mi pare indicativa del fatto che ci sia bisogno di molta innovazione. Perché non considerare le politiche culturali nella valutazione dell’impatto di genere?
Rispetto ai destinatari, l’attuale condizione della scuola apre una voragine di bisogni che le organizzazioni culturali potrebbero validamente aiutare a soddisfare in logica complementare. Ma di quali bisogni, di quali giovani e di quali modi di collaborazione stiamo parlando? Sappiamo che la pandemia ha aumentato i divari; in che modo le organizzazioni culturali possono “segmentare” i bisogni dei ragazzi fra i 15 e i 25 anni ed essere effettivamente palestre di servizio civile, di costruzione di competenze, di integrazione e di inclusione, di valorizzazione delle differenze? Il PNRR non parla specificamente di partecipazione culturale (dei giovani e dei meno giovani), ma destina risorse alla formazione professionale, al servizio civile digitale, alla scuola. Ad esempio, fra i fondi destinati all’accesso all’istruzione e riduzione dei divari territoriali sono previsti interventi del MIUR e delle scuole per il contrasto alla dispersione scolastica attraverso tutoraggio, consulenza e orientamento attivo e vocazionale, misure per l’inclusione sociale e per garantire didattica digitale integrata a soggetti con disabilità sensoriali e/o intellettive o in territori svantaggiati; e su un’altra linea di intervento sono previste risorse specificamente destinate al contrasto della povertà educativa al Sud. Ancora, fra i 2,8 mld destinati ai comuni per progetti di rigenerazione urbana si possono probabilmente immaginare progetti di innovazione culturale e sociale [6]; e un’altra linea di finanziamento riguarda i beni confiscati alle mafie.
Più in generale, credo sia importante affermare (e inserire nelle pratiche) la rilevanza delle organizzazioni culturali nella “realizzazione della democrazia”. Prendiamo il “tema caldo” della transizione digitale. Anche in ambito culturale, e a prescindere dal PNRR, la digitalizzazione è oggetto di riflessione e dibattito, prevalentemente in quattro direzioni: la valorizzazione dei cataloghi di contenuti digitali, i nuovi contenuti digitali, la relazione fra esperienza digitale e esperienza in presenza, e la piattaforma digitale per i contenuti culturali (la società pare si chiami ItsArt). Sui primi due punti vedo impellente la necessità di contaminare le organizzazioni che “producono cultura” con giovani. Anche le organizzazioni culturali come tutte le aziende stanno rischiando di perdere una generazione; nel loro caso, la situazione è molto delicata perché i cambiamenti di struttura delle filiere culturali ha determinato significative differenze generazionali nella fruizione. A titolo di esempio, i download su Spotify degli artisti italiani over 50 rispetto ai trapper sono significativamente più bassi perché la composizione demografica degli utenti di Spotify e l’utilizzo della piattaforma è fortemente spostato sulle fasce giovani di popolazione. Per chi la cultura la produce, diversificare il parco artisti e tecnologie presidiate è importantissimo. Riguardo alla relazione fra esperienza digitale e esperienza in presenza, mi pare che il dibattito sia fortemente orientato sulla composizione dell’offerta e sulle condizioni di sostenibilità delle organizzazioni culturali e molto meno su come le organizzazioni culturali partecipino alla costruzione di uno spazio digitale. A questo proposito, il PNRR prevede un investimento per la transizione digitale del settore quotidiani e periodici [7]. Credo sia giunto il momento di ragionare bene (e più apertamente di quanto si sia fatto finora) su come le organizzazioni culturali “servano alla democrazia digitale” e alla creazione di uno spazio digitale pubblico. La “Netflix della cultura” sarà un aggregatore di contenuti digitali; nelle sue condizioni di funzionamento e di sostenibilità e nelle logiche di finanziamento delle produzioni di contenuti culturali si annida una scommessa sul senso e sul ruolo delle organizzazioni culturali nel presente e nel futuro della nostra società. E si gioca (forse) la possibilità non di contrastare, ma di smussare la potente logica della tecnologia che polarizza le opinioni e orienta in modo “industriale” il pensiero collettivo.

Questi sono mesi molto complessi per le organizzazioni culturali. Non solo sono forzatamente chiuse, ma i loro “grandi alleati”, la scuola e il turismo, sono in difficoltà e hanno bisogno di essere approcciati in modo nuovo, ben più integrato che in passato e con una attenzione più puntuale; il loro nuovo mondo digitale è in buona parte da costruire. Il PNRR non è rivoluzionario nell’approccio rispetto alle organizzazioni culturali: lo testimonia l’esplicito riferimento alla “necessità di investire nella “bellezza” del Paese anche per consolidare la capacità di attrazione dei flussi turistici e le potenzialità dell’enorme patrimonio storico, culturale e naturale”, pur se inserito in una riflessione generale sugli obiettivi di sviluppo sostenibile. Bisogna che lo siano le organizzazioni culturali; la mia paura, e lo dico da mesi, è che i mondi della cultura diventino irrilevanti nel momento in cui c’è più bisogno di loro: territori desertificati culturalmente per assenza di operatori pubblici abituati a fare a meno di loro sono scenari tutt’altro che irrealistici.

È difficile progettare un nuovo inizio stando ai margini, ma vedo alcune iniziative e organizzazioni che mi colpiscono per determinazione, energia e capacità di stare nel presente. Mi permetto di dare a loro tre consigli telegrafici:
- lavorare sulla propria identità e specificità (di settore, di marchio, di storia), declinandola in modo esplicito rispetto alle direzioni dei flussi di risorse e ai temi in agenda;
- chercher l’argent fra le pieghe di tanta ricchezza, capendo da dove arrivano e chi le intermedia; leggere i bandi sarà una competenza da affinare;
- pensare in logica “industriale” (se si produce) o “moltiplicativa” (se si diffonde). Le risorse del PNRR sono tante e vanno impegnate e in buona parte spese entro il 2023; sarà difficile dare attenzione a progetti troppo piccoli.

Note e riferimenti bibliografici
[1] Z. Smith, Questa strana e incontenibile stagione, Edizioni SUR 2020, p. 20.
[2] Nello specifico, la missione 1, competenza 1,linea di investimento 2.
[3] È la linea di investimento 2.3b.
[4] Missione 3, componente 2, investimento 5.
[5] Per un piccolo esempio “off records” si vedano le conclusioni di questo articolo https://www.weforum.org/agenda/2020/09/women-biology-sex-gender-birds-stem-female?utm_source=facebook&utm_medium=social_scheduler&utm_term=Behavioural+Sciences&utm_content=05/01/2021+18:00&fbclid=IwAR3Bz7-eZp87BXfZxssNMyeGnEsAP7wxKM8aAwmBC9UFfPVBz69cK0EAU6Y.
[6] Missione 5, componente 3.
[7] All’interno della Missione 1, componente 2, linea “Transizione 4.0”.

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Redazione GDA, 13 gennaio 2021 | © Riproduzione riservata

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