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Un paradiso abitato da diavoli

Olga Scotto di Vettimo

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Sylvain Bellenger (Valognes, Francia, 1955) è alla guida del Museo di Capodimonte dal novembre 2015. È giunto a Napoli dopo importanti esperienze di studio e di lavoro in Francia, dove ha diretto Château et Musées de Blois, e negli Stati Uniti, dove è stato capo curatore della pittura e scultura europea e americana al Cleveland Museum e del dipartimento della pittura e scultura europee medievali e moderne all’Art Institute di Chicago.  

A un anno dal suo insediamento è cambiata la sua prospettiva sul museo e sulla città?
Conoscevo già bene Napoli e il Museo di Capodimonte, che ha avuto un ruolo fondamentale nella mia giovinezza e nella mia decisione di fare il curatore di museo. Ho vissuto quasi un anno a Napoli per piacere e per studio, godendo delle sue bellezze con la libertà di un appassionato. Essere direttore del Museo di Capodimonte comporta un cambiamento di prospettiva, una maggiore attenzione agli aspetti organizzativi e conservativi della gestione museale. Napoli è una città molto particolare. Qui il caos è una filosofia, un tipo di verità fondamentale, ma si tratta di un caos dolce, piuttosto felice. Il conservatorismo culturale italiano, l’arcaismo nell’uso delle nuove tecnologie e la poca consapevolezza del pubblico, specialmente quello giovane, mi sembravano elementi pittoreschi di un vecchio mondo preservato. Tutto questo rappresenta per me una sfida. Il mio sguardo è rivolto all’analisi delle problematiche e all’individuazione delle soluzioni che, a essere sincero, si portano avanti con grande sforzo e fatica.

Ci sono potenzialità inespresse?
La Campania rappresenta, per il turismo culturale, la Toscana dell’inizio del secolo scorso: un mondo sconosciuto. Presenta una tale varietà culturale e paesaggistica da confondere il viaggiatore che arriva qui per la prima volta, soprattutto se si considera che la sola città di Napoli offre, in un fazzoletto di terra, una millenaria sedimentazione storica e artistica e una molteplicità di panorami nel suo estendersi dalla collina al mare. Probabile sintomo di questa multiforme composizione territoriale sono la parcellizzazione dell’offerta turistica e la difficoltà nel coordinare una politica culturale organica e proiettata al futuro che, ad oggi, rappresenta l’unica reale possibilità per riscattare l’immagine di una città che spesso tradisce il suo potenziale.

Tra le istituzioni cittadine e regionali esiste una rete?
La riforma Franceschini ha dotato le più grandi istituzioni museali di un’identità mai esistita nel passato. La vetusta rete delle soprintendenze aveva così tante responsabilità su un territorio tanto grande e ricco da risultare di impossibile gestione. Questo problema permane per i poli museali che hanno più teste dell’Idra. Per questo un timido dialogo tra istituzioni affronta essenzialmente le emergenze, il contigente e il quotidiano, senza uno sguardo di insieme, senza una vera proiezione sul futuro e senza una visione programmatica. Troppo spesso a Napoli i problemi sono trattati con una sorta di fatalismo, con quella filosofia dell’arrangiarsi che aveva bene individuato Alfred Sohn-Rethel già nel 1920. Pensare a un dialogo che coinvolga le sole istituzioni museali è un’ottica antica; è necessario organizzare dei tavoli di lavoro che interessino il pubblico dei giovani, le nuove tecnologie, la comunicazione moderna, i trasporti, i conservatori musicali, il cinema, l’arte contemporanea, le associazioni territoriali, i tour operator di incoming e, ovviamente, gli enti locali.

Quale ruolo il suo museo può avere avere in questo sistema?
Il Museo di Capodimonte è un museo di livello internazionale. Ma ora è una collezione più che un museo nel senso contemporaneo. È vero che non deve essere disgiunto dal territorio, anche se lo stesso concetto di territorio in Italia ha bisogno di essere rivisitato, arricchito. Penso per esempio alla Galleria delle arti a Napoli dal Duecento al Settecento, che deve essere necessariamente proiettata in una visione nazionale e internazionale. Inoltre deve essere assolutamente potenziato il legame fisico sia con i quartieri circostanti sia con la città tutta: l’istituzione di una navetta tra il centro cittadino e il museo può essere considerato un primo segnale del consolidamento di questo legame. Ma l’obiettivo è rendere il bosco e il museo luoghi attrattivi soprattutto per i napoletani. Il futuro si gioca nel bosco e nei suoi 16 edifici storici, che potrebbero ospitare scuole per giardinieri, palestra, foresteria e un centro di ricerca sulla cultura e sull’identità dei grandi porti, ristoranti, un centro di musica ecc. Nel 2016 abbiamo creato l’Associazione degli Amici americani di Capodimonte. Beneficiando degli incentivi fiscali previsti negli Stati Uniti, questa associazione ha la missione di portare l’inglese nella comunicazione di Capodimonte e di fare conoscere l’arte e la cultura del Mezzogiorno nel mondo.

Quali sono le principali istituzioni territoriali con cui dialoga?
Siamo in costante contatto con molte istituzioni e associazioni del territorio, e non solo, sia in ambito culturale sia ambientale, quest’ultimo fondamentale da quando il brand Capodimonte include il Museo, la Reggia e l’immenso Bosco reale, che è un giardino storico, un parco pubblico, un museo della botanica e il polmone verde della città. Ed è qui che svilupperemo anche un discorso sull’arte contemporanea legato ai grandi temi ambientali. Stiamo lavorando molto bene con il quartiere, con la terza Municipalità e con l’Associazione degli Amici del Bosco di recente istituzione. Rapporti importanti sono anche quelli con il Museo Madre, la cui progettualità sul contemporaneo crea un legame con l’attività che ha contraddistinto Capodimonte e con il Museo Archeologico Nazionale, che è lo storico alter ego delle nostre collezioni borboniche e farnesi. Infine con Pompei stiamo concertando prossime iniziative di alto livello, come la mostra «Picasso Parade» (dal 10 aprile al 10 luglio 2017) in collaborazione anche con il Teatro di San Carlo.

Dove accompagna i suoi ospiti stranieri?
Consiglio loro di immergersi nella città e nel suo carattere unico, poetico, costruito sul succedersi di diverse dominazioni e sull’intrecciarsi di culture spesso distanti tra loro. Consiglio di visitare le chiese del centro storico, le collezioni del Museo Archeologico Nazionale, della Certosa di San Martino, del Museo Madre, il Teatro di San Carlo, di andare agli Scavi di Oplonti, Pompei ed Ercolano, di ascoltare un concerto al Conservatorio San Pietro a Majella. Consiglio di rimanere a Napoli e di non andare subito a Capri o Positano: luoghi troppo standardizzati. Mentre è nella città che si gode dell’eternità, perché questo sembra essere un luogo dove non si muore mai. Napoli è gioiosa, sempre. A Napoli i morti sono vivi, sono consiglieri, come san Gennaro, confidenti, mediatori con Dio o con gli dei. Poi consiglio a tutti di tornare a Capodimonte, dove c’è l’unica collezione che, dal 1200 all’arte contemporanea, testimonia la storia d’una grande capitale d’un grande regno.

Che museo è Capodimonte e che museo dovrà diventare?
Il Museo di Capodimonte ha rappresentato per anni un polo di eccellenza sia nella sistematizzazione dello studio dell’arte napoletana e italiana storica e contemporanea sia nella conservazione e nella tutela. Le grandi mostre qui organizzate hanno contribuito ad approfondire tematiche scientifiche pur rilevando un ottimo riscontro in termini di affluenza. Oggi la collezione permanente ha bisogno di essere il centro della missione anche attraverso le mostre, in modo da accattivare un pubblico di diversa formazione culturale e che ha un diverso senso interpretativo dell’arte. Il Museo di Capodimonte, a mio avviso e nella realtà dei fatti, è fra le prime dieci pinacoteche d’Europa e per questo ha bisogno di essere identificato in ambito internazionale come grande ricchezza di Napoli, rafforzando la propria immagine. È decisamente importante potenziare l’offerta didattica per incentivare il contatto con i più giovani e invogliarli a una fruizione libera dell’arte anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie, applicate alla scoperta infinita del mondo contemporaneo e del patrimonio culturale.

Ha verificato quali luoghi comuni su Napoli corrispondono alla realtà?
Adoro vivere in questo paradiso abitato da diavoli. Qui tutti i luoghi comuni sono veri ma nessuno è giusto. Mi piace citare Curzio Malaparte, il più lucido di tutti su Napoli: «[...] è la più misteriosa città d’Europa, è la sola città del mondo antico che non sia perita come Ilio, come Ninive, come Babilonia. Napoli è una Pompei che non è stata mai sepolta. Non è una città: è un mondo. Il mondo antico, precristiano, rimasto intatto alla superficie del mondo moderno. [...] Non potete capire Napoli, non capirete mai Napoli».

Olga Scotto di Vettimo, 04 dicembre 2016 | © Riproduzione riservata

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