UN NUOVO CAPODIMONTE | L’invenzione di un grande museo
La maggiore pinacoteca dell’Italia meridionale espone in un nuovo allestimento il proprio racconto di un secolo e oltre di pittura | 2

Capodimonte nasce nel 1957 su iniziativa di Bruno Molajoli, un soprintendente fabrianese di idee vulcaniche. Il progetto mira a esporre i nuclei Farnese e borbonici, che sino ad allora si erano visti in quella sorta di pan museo, di Louvre tendente al Classico che è il Museo Archeologico.
Il soprintendente è un visionario quanto o più dei giovani turchi che lo assistono nell’impresa: Raffaello Causa e Ferdinando Bologna insieme ad altri inventano un museo di soli capolavori o giù di lì, da scorrere come un manuale.
E intanto, le riordinate collezioni stimolano restauri, precisazioni e scoperte (dal Correggio al Parmigianino), volentieri documentate su «Paragone», la rivista fiorentina di Roberto Longhi.
Si capisce, è lui, come vedremo nelle prossime puntate, il convitato di pietra, il vero ispiratore nascosto del primo Capodimonte. Caravaggio, è vero, non c’è ancora, la «Flagellazione» migrerà da San Domenico, dopo il terzo tentativo di furto, soltanto nel 1972. Ma il museo gira intorno alle simpatie e alle idiosincrasie, oltre che alle mappe del grande scrittore e storico d’arte di Alba.
Insomma: si pensi quello che si vuole, il museo Capodimonte è stato ispirato e condotto in porto da un marchigiano e da un piemontese e Napoli non si è mai più scoperta così internazionale come quando si aprì la sua principale pinacoteca.
Gli affezionati di «Il Giornale dell’Arte» nonché i nuovi lettori, più inclini a scorrerlo in rete, si offenderanno nel sentirselo ripetere: ma i musei mutano pelle nel tempo e crescono, bene o male, anche in una città come Napoli, dove per sperimentata tradizione crociana la consuetudine con gallerie e pinacoteche non è mai stata un affare pacifico.
Capodimonte intanto ha compiuto 65 anni, con una storia relativamente recente rispetto agli Uffizi o a un regalo fatto dai napoleonidi a Milano come la Braidense. Capodimonte cambiò a fine secolo scorso e quando riaprì nel 1999 era un animale tutto nuovo. Ai capolavori noti si erano aggiunte opere nuove, sempre interessanti, non sempre irresistibili, in gran parte provenienti da chiese inagibili della città o del territorio.
Il museo divenne grandissimo, gigantesco e, dal Medioevo a Warhol, sembrava non dovesse finire mai, mentre al terzo piano era nata una sezione di arte contemporanea. Troppa grazia per chi già (come Causa lamentava in tempi non sospetti) non era in grado di fronteggiare la prima, tanto più contenuta, versione del museo.
Ma soprattutto il Capodimonte 2, diviso tra un primo piano ordinato per collezioni e un secondo interamente dedicato a Napoli, lasciava in eredità la difficile questione se i musei si facciano per gli addetti ai lavori, per i restauratori, per gli artisti, per gli amatori attrezzati o per il pubblico medio (in predicato di diventare di massa).
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