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Un Gutai spensierato

Matteo Fochessati

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Approdato alla pittura senza alcuna formazione accademica e giunto per pura casualità a impossessarsi del processo artistico che lo ha reso celebre, Yasuo Sumi (1925-2015) è stato uno dei protagonisti del movimento Gutai, a cui aderì nel 1954, un anno dopo la sua fondazione da parte di Jiro Yoschihara.

Sumi era stato incoraggiato ad avvicinarsi alla pittura da un altro importante membro del gruppo, Shōzō Shimamoto, che aveva intuito, nelle sue prime esperienze artistiche, una dirompente forza espressiva e, nel suo linguaggio interdisciplinare in cui si combinavano arti figurative, calligrafia, teatro e happening, una peculiare affinità estetica con il principale movimento d’avanguardia giapponese del dopoguerra.

A Sumi Abc-Arte dedica, a pochi mesi dalla sua scomparsa, la grande antologica «Nothing but the future», aperta sino al 31 maggio ed estesa alla sua intera produzione attraverso opere dal 1954 al 2013. L’artista ha spesso dichiarato straniante il suo processo operativo, per il quale si è avvalso di strumenti non tradizionali, come l’abaco, l’ombrellino giapponese (bangasa), i sandali in legno (geta), un largo pettine e un apparecchio elettrico vibrante.

Questa «interposizione di uno strumento in se stesso “autre”» tra sé e l’opera, come scrive Flaminio Guardoni nel volume che accompagna la mostra, riflette quanto dichiarato dallo stesso Sumi, a proposito delle sue azioni artistiche: «Mentre disegno, la mia mente è completamente libera». Accostando la potenza estetica della sua ricerca alla forza sprigionata dalla natura, Sumi ha inoltre affermato: «Dalle opere realizzate pensando non esce altro che un potere artificiale. A me piace non pensare a nulla».

Un nulla che, nell’intensa energia delle sue spettacolari performance, lo portò a valicare tuttavia gli umani limiti spazio-temporali e ad agire nell’affascinante suggestione di un campo d’azione illimitato.

Matteo Fochessati, 22 aprile 2016 | © Riproduzione riservata

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