Un angelo nella Pietà Bandini

In occasione della mostra delle fotografie di Aurelio Amendola dell’opera michelangiolesca il curatore Antonio Natali propone una diversa interpretazione per la figura finora identificata con Maria di Magdala

La «Pietà Bandini» di Michelangelo nel Museo dell’Opera del Duomo di Firenze fotografata da Aurelio Amendola. Cortesia di Aurelio Amendola/Opera di Santa Maria di Fiore. © Aurelio Amendola
Laura Lombardi |

Il Museo dell’Opera del Duomo dedica una mostra a «La Pietà di Michelangelo. Lo sguardo di Aurelio Amendola fra naturalismo e astrazione». Allestita nella Sala del Paradiso dall’8 settembre al 9 gennaio, presenta gli esiti della campagna fotografica commissionata dal Museo a Amendola, che già aveva fotografato la «Pietà» nel 1997, prima del restauro terminato nel settembre 2021 e finanziato della Fondazione non profit Friends of Florence. Curatore della mostra è Antonio Natali, che proprio da quegli scatti ha tratto spunto per importanti riflessioni sull’opera, esposte nel ricco testo che accompagna il catalogo edito da Mandragora e al quale facciamo qui solo brevemente accenno.

Amendola rinuncia alla luce diffusa, perché «non c’è lume che possa avvolgere una materia tanto tormentata». La luce, anzi, è rafforzata, giocando sui contrasti, abbuiando gli scuri, mentre le ombre «sbattono con profili netti sulle superfici, chiare fino al candore». Lo «sguardo autoptico» di Amendola compie così una «dissezione» del gruppo, evidenzia tutta la gamma della lavorazione del marmo, dall’appena sbozzato (che svela analogie con opere addirittura novecentesche) al compiuto, dall’informe al «polito e fulgente», e mostra le «piaghe repulsive» che possono sfuggire all’occhio, come la sezione verticale sulla coscia di Cristo, mozzata di netto, dove è un foro quadrato per il perno dell’impianto dell’arto.

Inoltre, l’accentuazione del pathos che è nella «Pietà Bandini» provoca nel riguardante un trasalimento emotivo, analogo a quel sommuovere le corde dell’animo suscitato dai marmi ellenistici che Vasari, nel Proemio della terza parte delle Vite, indica quale uno dei caratteri propri della cosiddetta «Maniera Moderna», degli artisti del primo Cinquecento. Il corpo di Cristo, ricorda Natali, ha infatti come modello il «Torso Gaddi» mutilo busto ellenistico, che ritroviamo anche  nel «Tondo Doni» dello stesso e nella «Deposizione» per Atalanta Baglioni di Raffaello (ma già Ghiberti nel Nudo di Isacco della formella della porta nord del Battistero).

Tra le molte analisi delle singole figure e del significato delle loro pose, e su come Amendola abbia saputo leggere anche oltre le forme lasciate incompiute o sbozzate dal Buonarroti (riguardo Nicodemo, ad esempio, «il taglio della foto d’Aurelio [...] imprime ai lineamenti di Michelangelo/Nicodemo un vigore saldo che pertiene all’indole d’entrambi i personaggi»), si segnala qui la diversa identificazione proposta da Natali per la figura sulla sinistra, che il biografo michelangiolesco Ascanio Condivi e anche Giorgio Vasari descrivono come «una delle Marie», e nella quale si è riconosciuto Maria di Magdala.

Natali annota però che quella figura non volge come quasi sempre fa Maddalena «nelle lamentazioni su Cristo esanime, gli occhi suoi lacrimosi verso il cadavere dell’amico, preferendo invece indirizzarli in basso e puntarli su chi, fuori dalla ribalta, sia spettatore del dramma: il fedele, cioè, che silenzioso sosti in adorazione del corpo di Cristo che sull’altare è esposto. Sull’altare, s’è detto; giacché quella era l’ubicazione per cui l’aveva pensato Michelangelo, avendo in animo di trovare ai suoi piedi sepoltura. E non credo ci sia verbo più adatto di “esposto”, perché di un’esposizione si tratta; esposizione che nella fattispecie si deve tradurre con “ostensione”». E sebbene Condivi descriva il «Christo abandonato casca, con tutte le membra relassate», Natali osserva: «La gestualità dei tre attori che gli sono d’intorno non denuncia lo sforzo che si può presumere necessario a sostenerlo; e vien d’osservare specialmente la figura identificata con Maddalena: non c’è fatica nella sua postura, c’è semmai la volontà d’esibire quel corpo senza vita».

L’ interpretazione proposta (e qui appena accennata) vedrebbe quindi l’insistenza sul mistero eucaristico con una precedenza di alcuni decenni rispetto all’inizio del Concilio tridentino. Un’anticipazione che, ricorda Natali, si trova in altri pittori fiorentini di quegli anni, quali Andrea del Sarto, il Rosso Fiorentino  (il «Cristo deposto» per la romana Cappella Cesi oggi nel Museum of Fine Arts di Boston) e il Pontormo, la «Deposizione» di Santa Felicita: in quest’ultima non sono né croce, né sepolcro perché anche in quel caso si tratterebbe di ostensione. 

Tornando alla «Pietà Bandini», Natali propone dunque di leggere in quella figura non le fattezze di una donna ma di una creatura asessuata (il presunto accenno di seno sarebbero solo pieghe della veste): un angelo insomma, con i capelli spartiti in due bande di taglio elegante, del tipo di quello scolpito sulla fronte della Madonna nel «Tondo Pitti» e presente in alcuni disegni del Buonarroti, ma anche in dipinti di altri artisti nei quali gli angeli mostrano analoghe «amabili sembianze».

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