Tutta l'Italia sotto il segno di Roma

Alle Scuderie del Quirinale i popoli dell’Italia antica che sotto la spinta dell'Urbe portarono all’unificazione della penisola

Ritratto di Augusto con il capo velato, fine I secolo a.C., Ancona, Museo Archeologico Nazionale delle Marche. Su concessione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Marche, su concessione del Ministero della Cultura
Giuseppe M. Della Fina |  | Roma

Inaugurata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la mostra «Tota Italia. Alle origini di una Nazione» presso le Scuderie del Quirinale (fino al 25 luglio), ha molti pregi. Tra essi vi è quello di richiamare alla memoria la poesia «Voci» della poetessa polacca Wisława Szymborska, premio Nobel per la Letteratura nel 1996. La poesia è compresa nella raccolta «Ogni caso» pubblicata, in prima edizione, nel 1972. Di seguito qualche verso:

Ti si impantana il tallone nel bel mezzo dei Rutuli.
Sprofondi fino alle ginocchia nei Sabini e Latini.
Hai già fino alla cintola, al collo, fin sopra i capelli
gli Equi e i Volsci, o Lucio Fabio.
E ancora:
Se non intralciassero, ma intralciano,
gli Aurunci, i Marsi, o Spurio Manlio.

I Tarquiniesi di qua e di là, gli Etruschi ovunque.

Cumuli di Ernici. Sciami di Marricini.
Numerosi come formiche i Vestini, i Sanniti.
Più in là vai, più ce n’è, o Servio Follio.

La poesia venne scritta quando la pluralità delle genti comprese all’interno dell’Urss (o sotto la sua egemonia diretta), aveva iniziato a creare problemi al potere centrale. La Szymborska individuò un precedente nella storia: il complicato controllo esercitato da Roma sugli altri popoli dell’Italia antica. I 400 reperti esposti in mostra, da un lato, danno sostanza, corpo, vita a quei popoli dell’Italia preromana con i quali la poetessa solidarizza e, dall’altro, raccontano il riuscito processo di romanizzazione, che portò alla prima unificazione politica, economica e culturale della penisola.

Ottaviano Augusto nelle sue Res Gestae ricorda: «iuravit in mea verba tota Italia sponte sua». Il processo non fu lineare e spontaneo come egli, pur ben consapevole della storia che lo aveva preceduto, voleva fare apparire, ma lungo, doloroso, costellato di scontri sanguinosi seppure, alla fine, riuscito e in grado d’influenzare la storia di gran parte dell’Europa e dell’intera area del Mediterraneo.

Tra gli scontri si può ricordare, almeno, la battaglia di Sentino, presso Sassoferrato, nelle Marche, avvenuta nel 295 a.C. La sua preparazione previde la creazione di un’alleanza tra Etruschi, Sanniti, Umbri e Celti favorita dalla comune necessità di fronteggiare l’avanzata di Roma. La mossa politica era sicuramente all’altezza della sfida imposta dai tempi e consentì di riunire un esercito che poteva confrontarsi con quello romano e non partire già sconfitto. Le stesse economie che dovevano supportare lo sforzo bellico erano all’altezza del compito e sicuramente comparabili a quella romana.

Sul campo di battaglia sarebbero rimasti 100mila morti per lo storico greco Duride, 25mila invece secondo la valutazione di Tito Livio. Si tratta di cifre enormi in sé, ma soprattutto se riferite alla popolazione dell’epoca e consentono di comprendere l’importanza dello scontro terminato con una sconfitta rovinosa per gli Etruschi e i loro alleati rappresentando una svolta nella storia della penisola.

La rapidità e l’efficacia del processo di romanizzazione sono testimoniate bene dagli esiti della discesa in Italia di Annibale: il condottiero cartaginese aveva puntato su una ribellione generale degli Etruschi e dei popoli italici, che non vi fu nonostante i suoi sfolgoranti successi iniziali. Le classi dirigenti etrusche e italiche si sentivano inserite già, in una misura ritenuta evidentemente sufficiente, nelle dinamiche economiche e politiche di Roma così da non volerne la sconfitta. Solo più tardi, con la Guerra Sociale (91-89 a.C.), rivendicarono un riconoscimento pieno.

Lungo il percorso della mostra, curata da Massimo Osanna e Stéphane Verger, si possono osservare reperti che indicano le peculiarità delle singole culture preromane, ma anche altri che suggeriscono i punti di contatto tra esse e in grado di suggerire scambi commerciali e reciproche influenze. Ecco un esempio, nel corredo funerario di Nerka Trostiaia, una donna aristocratica dell’importante centro urbano di Este, morta intorno al 295 a.C., l’anno della battaglia di Sentino, figurano oggetti di fabbricazione e tradizione venetica, etrusca, celtica e attica.

Non basta, la camera funeraria richiama soluzioni elaborate in Magna Grecia. Una situazione simile con la presenza di elementi celtici, etruschi, italici e magnogreci si ritrova nei corredi funerari di Montefortino d’Arcevia. Numerose opere più tarde parlano invece, dell’avvenuta romanizzazione della penisola e torna alla mente un’affermazione del geografo e storico Strabone che, agli inizi del I secolo d.C., osservava: «ormai sono tutti Romani».

© Riproduzione riservata Triade Capitolina, II secolo d.C., Guidonia Montecelio, Museo Civico Archeologico «Rodolfo Lanciani». Su concessione del Comune di Guidonia Montecelio, su concessione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area Metropolitana di Roma e per la Provincia di Rieti. Foto Giovanni Coccia
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