Tra ’300 e ’400: non fu solo un’arte nuova, ma che perseguiva il nuovo
Nel suo libro edito da De Luca, il compianto Alessio Monciatti, prematuramente scomparso, ci ha accompagnato a scoprire o ad approfondire uno snodo cruciale

Spicca sulla copertina del volume il particolare di uno splendido e poetico cielo notturno di Pietro Lorenzetti. È uno dei brani pittorici su cui si sofferma lo sguardo acuto e colto di Alessio Monciatti, purtroppo mancato a soli 52 anni, poco dopo la pubblicazione di questo libro. Un capitolo è dedicato proprio alla raffigurazione degli astri mentre gli altri capitoli trattano della rappresentazione della luce e dell’acqua, delle figure nascoste o inserite ai margini di opere, della relazione nei manoscritti tra immagini e testo, della funzione del disegno e della concezione e ruolo dell’arte medievale, dei suoi manufatti e dei suoi protagonisti.
Ciascun capitolo restituisce una conferenza ma è concluso e autonomo (leggibile dunque singolarmente) e contribuisce a indagare il passaggio dal XIII al XIV secolo da angolature originali e diversificate. Il tema comune, come anticipa il titolo, è l’affermarsi non solo di un’arte nuova ma di un’arte che persegue il nuovo come valore: dove l’artista non solo realizza (per quanto splendidamente) ma inventa, dove il disegno non solo trasmette ma progetta. A tale snodo concettuale corrisponde la ricerca di un naturalismo per il quale la luce non era solo entità metafisica ma anche fenomeno (tanto che persino i raggi emanati da Dio producono riflessi e ombre) e l’acqua vela ciò che vi è immerso e s’increspa con mille riflessi.
Monciatti deduce o dimostra le sue affermazioni a partire dall’analisi di casi o per indizi, considerando l’arte anche come un sistema culturale in relazione alla letteratura (soprattutto quella di Dante) e alla scienza. Ci accompagna così a scoprire o ad approfondire uno snodo cruciale: quello che determinò un nuovo modo anche di osservare e raffigurare la luna: nel particolare riprodotto in copertina sbuca infatti dietro uno sperone di roccia e sopra di essa un cielo che conosce il tempo e lo spazio, entro cui alcune stelle cadono; lo stesso cielo che Giotto, nell’«Adorazione dei Magi» nella Cappella degli Scrovegni, raffigurò percorso dalla cometa di Halley.
