Torino per il Calendario Di Meo 2022
Il progetto editoriale di Generoso Di Meo giunge alla ventesima edizione: «questo calendario è come una biografia. Viene fuori da tante cose mie»

In una serata di gala nelle sale della Reggia di Venaria Reale, sabato 30 ottobre l’Associazione Culturale «Di Meo vini ad arte» presenta a un parterre internazionale il Calendario Di Meo 2022, dedicato a Torino. Il progetto editoriale, che festeggia la sua ventesima edizione, vede la collaborazione di artisti, storici, critici, musicologi, istituzioni e sponsor. Generoso Di Meo, ideatore del progetto, condivide con i propri amici un personale taccuino di pensieri e di immagini, a conclusione di un’immersione in prima persona in un nuovo Grand Tour.
Dal 2013 le fotografie di Massimo Listri accompagnano il racconto, con la medesima curiosa sensibilità dell’inventore di questo progetto. Nato in Irpinia a Vulturara, Generoso Di Meo compie a Napoli studi classici e poi di medicina (ginecologia), e coltiva una passione per l’arte che oggi vive come esperienza totale, in stretta relazione con l’amore per la vita. «Questo calendario è come una biografia, racconta. Viene fuori da tante cose mie. Sono irpino di nascita, ma questa origine si intreccia con il mio pazzo amore per Napoli, città che ho conosciuto bene da studente, quando, durante le passeggiate con un padre gesuita, riuscivo a entrare in luoghi normalmente chiusi. Erano tanti in quegli anni».
Come nasce l’dea del calendario?
È tutto molto casuale. Ero in aereo con Luciano Romano, che mi mostrò la fotografia del «Ratto di Proserpina» di Bernini, realizzata alla Galleria Borghese, e pensai che avrei voluto farne una con il mio vino. Nacque così la prima fotografia. Poi chiamai gli amici, tra cui Giovanni Gastel, Massimo Listri, Uberto Gasche, Mussat Sartor, per interpretare la cantina dell’azienda vinicola Di Meo. Il primo calendario, intitolato «Fotografi in cantina», nacque nel 2003. Non c’era un’idea iniziale, poi è nata l’associazione. Mi piacerebbe valorizzare l’Irpinia con operazioni come quella organizzata a Vienna nel 2016, quando nelle sale del Kunsthistorisches Museum, che è in assoluto il mio museo preferito, portai la tarantella di Montemarano, paese noto proprio per questa danza popolare.
Dall’azienda di famiglia alle città. Dalla casualità al progetto editoriale.
È la mia biografia: dall’Irpinia a Napoli al mondo. Ho sempre avuto curiosità per l’arte. Mi immergo nelle città, mi appassiono, le indago, cerco di capirle e poi le confronto con Napoli per evidenziarne il rapporto di reciprocità, le contaminazioni, unendo le mie radici, la mia terra con altri luoghi. Mi dedico al progetto per un anno intero. Nel tempo, in modo naturale, quasi inconsapevole, è diventato il mio modo di essere. Lavorando vengono fuori incredibili relazioni. Ad esempio, in questa edizione ho voluto fotografare il Circolo del Whist, che esprime l’aristocrazia di una Torino un po’ nascosta, ma esemplificativa del suo understatement. È sempre fondamentale la scelta della copertina, che deve restituire immediatamente il senso della ricerca. Per Torino ho scelto «Lo studio del pittore a Napoli» di Massimo D’Azeglio, figura che conoscevo solo attraverso l’austero ritratto di Francesco Hayez.
Che cosa rappresentano le feste che organizza?
Sono la parte finale del viaggio. Desidero che i miei amici scoprano la città che ho esplorato. Scelgo il posto per me più iconico e costruisco un senso attorno alla festa. Quest’anno disporremo non solo dell’intera Reggia di Veneria, ma tutti i musei di Torino saranno aperti per i miei ospiti. C’è sempre una base culturale nelle scelte. Venaria è una residenza reale di caccia, tema che ho adottato come motivo dominante della festa, con due grandi sculture in alluminio a forma di cervo come centro tavola e corni da caccia come sottofondo della serata.
Qual è stato il calendario più complicato da realizzare?
L’edizione di Palermo è stata difficilissima e bellissima. Recuperammo in un deposito il sipario di Gustavo Mancinelli per il Teatro Politeama Garibaldi di Palermo e lo restaurammo. Il padre Giuseppe ha realizzato, invece, quello del Teatro di San Carlo di Napoli. Intitolammo il calendario del 2010 «Due teatri per due Sicilie». Un’impresa ricca di aneddoti, come tanti che un giorno vorrò raccontare, magari in un libro.
Che cosa le piace in particolare?
Tutta l’arte, ma sono appassionato dell’antico. Amo la pittura, in particolare il Seicento napoletano. La mia casa è piena di oggetti. Mi dicono che esprime l’horror vacui. Ho un’intera stanza dedicata a Innocenzo X, dove colleziono non solo stampe e oggetti antichi, ma anche tutto quello che gli amici mi regalano sul papa. Anche il profilo di WhatsApp mi vede ritratto nel quadro di Velázquez! Frequento il teatro e l’opera in giro per il mondo. Ho seguito moltissimo Abbado. Mio nonno mi ha iniziato alla lettura di Seneca e alla musica.
Quale città sceglierà per il calendario del 2023?
Vorrei continuare il mio progetto sulla Svezia, abbandonato a causa della pandemia. Ma ho immaginato anche un posto più lontano…
C’è una città che non comparirà mai?
Venezia è una città talmente cara… La conosco così tanto da non volerla svelare, la sento intimamente mia. Quelle che scelgo per il calendario sono città che mi fa piacere condividere. Venezia mai.
