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Flaminio Gualdoni
Leggi i suoi articoliPer l’Expo selfie con la Madonnina
Ho mugugnato, quando il Duomo di Milano si pavoneggiava del «primato di prima Cattedrale al mondo con le vetrate illuminate dall’interno», una roba che riduce dei capolavori a tristi vetrofanie natalizie: ma alla fine ho pensato che fosse una vaccata passeggera, e poi non bisogna sempre star lì a cercare il pelo nell’uovo. Ho cercato di non far caso neppure all’esposizione della «statua di santa Lucia, 3 doccioni zoomorfi, una guglia e una riproduzione in scala 1:3 della Madonnina» dentro il negozio Eataly di New York (loro dicono «flagshipstore», ma vuol dire negozio), come se nella Grande Mela non ci fosse un luogo più carismatico per fare una pur meritevole raccolta fondi in favore del monumento milanese per eccellenza. E ho catalogato la realizzazione di imbarazzanti orologi a cucù in forma di Duomo, in vari colori e livelli di pregio, come la fuga in avanti di qualche manager di belle speranze e idee perverse.
Poi ho contato e faceva tre. Tre indizi, che son quella cosa per cui delle domande serie devi pur cominciare a fartele. E mentre ero lì che cercavo di collocare il quarto indizio stupefacente, l’obbligo di un «braccialetto identificativo da indossare ed eventualmente esibire al personale addetto alla sorveglianza», del costo di due euro, per fare foto con il cellulare dentro le sacre mura (ma se volevano far figo, tanto valeva il timbrino sulla mano come in discoteca), altrimenti, immagino, ti sbattono fuori, ho letto un articolo che mi ha fatto capire che da quelle parti sono decisamente «oltre».
In ilfattoquotidiano.it del 9 febbraio scorso Alex Corlazzoli, maestro elementare ancora innamorato del suo lavoro, ha raccontato che, mentre spiegava alla sua scolaresca le meraviglie del Duomo, è stato avvicinato da un guardiano che gli ha intimato di smettere perché «qui non è possibile. Sono previste le guide», naturalmente a pagamento: da 60 a 100 euro, mica bruscolini. Questa lettura malinconica mi ha riportato alla memoria un personaggio che ha illuminato la mia gioventù, Ernesto Brivio, grande architetto e per molti anni anima della Veneranda Fabbrica, che alla fine degli anni ’70 non solo riorganizzò il Museo del Duomo, ma spedì un nugolo di giovani volenterosi a far «lezione di Duomo» in tutte le scuole milanesi, così che diventasse una figura viva della loro coscienza culturale e non solo lo scenario straniato di foto ricordo e scacazzamenti di piccioni.
Dunque, qualche decennio fa andava così. Ora va cosà. È vero, mantenere lo straordinario apparato di scienza e tecnologia che dai tempi di Gian Galeazzo Visconti, 1386, sino a oggi ha permesso a questa macchina immensa di pietra di reggersi in piedi, facendo sì che la manutenzione avvenga sempre prima che i guai accadano e non dopo, costa un botto di denaro. Ma tra il fundraising doveroso e questa ricerca vagamente compulsiva di denaro a ogni costo, tra strapaesanerie imbarazzanti ed esosità da sceriffo di Nottingham, ci deve pur essere una linea che non umilia l’immagine nobile della Cattedrale.
Ora poi c’è l’Expo, e già si annuncia un’altra iniziativa che conferma come il vento che soffia nelle auguste stanze sia un’allarmante tendenza Las Vegas. Han deciso di fare una replica grandeur nature della Madonnina che da quasi duecentocinquant’anni sta in cima alla guglia maggiore, così da farcela ammirare da vicino. Ciumbia l’ideona! A occhio, anche un ignaro capisce che una statua da guardare da sotto in su a oltre cento metri d’altezza, se la metti al livello dello spettatore produce un vedere distortissimo. Per di più, da vicino ti rendi conto della desolante verità, che il Giuseppe Perego autore di cotanto simbolo era davvero uno scultore mediocrissimo cui è capitata la botta di fortuna del millennio. Ma che importa? C’è l’icona turistica, e la possibilità di farsi un sacco di selfie con Madonnina appresso. Roba ghiotta.
Manca solo che adesso annuncino che dentro al Museo del Duomo sgombreranno un po’ di vecchi sassi per fare anche loro un posto dove si mangia e beve, magari con tanto di chef d’ordinanza, e sèmm a pòst.
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