Tefaf, lo spettacolo è servito
Ancora due giorni per visitare la XXXVI edizione di Tefaf Maastricht che segna un ritorno al clima prepandemico con importanti investimenti da parte di espositori e collezionisti

Una scenografica parete di rose ad accogliere all’ingresso i visitatori e poi delicate composizioni floreali per ogni dove, dai soffitti ai lunghi corridoi, hanno dato sfoggio dell’ottima forma di una manifestazione finalmente ritornata alla sua consueta calendarizzazione. Dall’11 al 19 marzo negli spazi fieristici del Mecc è andato in scena Tefaf, confermandosi l’appuntamento in cui galleristi e antiquari di tutto il mondo danno il massimo per vendere le opere migliori, dall’archeologia al contemporaneo, attraversando tutta la storia dell’arte. Erano 270 gli espositori, provenienti da 20 nazioni diverse, oltre una ventina gli italiani. Dopo l’anteprima a invito rivolta a collezionisti vip e ai più importanti musei internazionali, nel primo finesettimana cominciavano a spuntare i bollini rossi di opere vendute ed era già tempo di primi bilanci.
«Tefaf è veramente l’unico luogo dove il grande impegno e la fatica fatta per partecipare ripagano sempre, è uno spettacolo eccezionale», commentano soddisfatti Massimiliano Caretto e Francesco Occhinegro, dell’omonima galleria torinese (con uno spazio anche a Roma), che hanno subito venduto la loro opera di punta, un sontuoso «Ritratto di gruppo come specchio delle Virtù» di Nicolas Maes, del 1670-75 a un collezionista privato olandese (la quotazione era intorno ai 600mila euro) e un piccolo olio su pannello circolare del paesaggista fiammingo Herri Met de Bles (la richiesta 80mila euro circa).
Per la gallerista romana Alessandra Di Castro, «Tefaf Maastricht è certamente il the place to be nel cuore dell’Europa per appassionati e collezionisti». Nel suo spazio, dedicato ai temi dello splendore barocco e del Grand Tour, ha riscosso particolare successo una collezione di 35 mosaici minuti, eseguiti a Roma fra la metà del XVIII e la metà del XIX secolo da importanti maestri di quest’arte: già venduta a 120mila euro una testa di Medusa su fondo di marmo nero firmata da Gioacchino Barberi.
Spiccava invece uno sguardo luminoso e di maestosa fierezza alla galleria Trinity Fine Art (Londra) di Carlo Orsi: era quello dello studioso ritratto fra il 1547 e il 1548 da un giovane Tintoretto. Un’importante riscoperta (fu in precedenza nella collezione del pittore Sir Peter Lely) a cui la galleria ha dedicato una pubblicazione e che ha già trovato un acquirente.
«C’è la sensazione che si sia ritornati al clima del 2019, cosa che giustifica anche l’importante investimento che gli espositori compiono a Tefaf», commenta Alessandro Galli della galleria Robilant+Voena (Londra, Milano, Parigi e New York) che ha venduto a un museo straniero un Laocoonte in porcellana biscuit di Filippo Tagliolini del 1785 circa.
Se si girava fra gli stand, l’impressione era poi quella di allestimenti che, in alcuni casi, andavano oltre il curato, puntando sull’effetto sorpresa per mettere l’accento su tesori preziosi e pezzi museali. Quasi a rendere spettacolari e, forse più accattivanti e avvicinabili per un pubblico di nuovi collezionisti, anche opere antiche non sempre di immediata lettura.
Si faceva quasi la coda per accedere, a uno a uno, al sancta sanctorum della galleria Georg Laue (Monaco di Baviera), dove era esposto l’olifante secentesco a lungo appartenuto alla famiglia Rothschild, in avorio lavorato come un ricamo. Da Kugel (Parigi) suscitava meraviglia una grandiosa conchiglia in madreperla montata su argento, ed è stato venduto a un museo europeo il bizzarro busto in porcellana bianca di Meissen del barone Schmiedel assalito dai topi, per esorcizzare la sua paura.
Da Botticelli antichità (Firenze), una volta entrati si aveva accesso a un’ulteriore porticina, che, come l’antro di un mago, celava nuove meraviglie tra fondi oro e sculture (subito venduta una testa lignea di cammello o dromedario della seconda metà del XVI secolo).
Vere e proprie quinte teatrali animavano lo stand d’angolo di Antonacci Lapiccirella (Roma), che accoglieva i visitatori con le fiammeggianti «Quattro stagioni», quattro dipinti realizzati da Giacomo Balla fra 1939 e 1940 con un linguaggio di grande modernità che anticipa il pop e si ispira all’immaginario delle riviste, della fotografia e della moda del tempo (con un prezzo di richiesta di 800mila euro circa, torneranno in Italia).
Sempre Balla, ma in versione futurista, era presente da Bottegantica (Milano) con quattro cartoline del ’14-’18. La stessa galleria ha venduto una grande tela di Enrico Prampolini del 1929, «Metamorfosi delle divinità o Il trionfo della civiltà meccanica», per 180mila euro circa. Da Mazzoleni (Torino e Londra), che ha subito venduto un’opera di Carla Accardi degli anni ’60 e un piccolo Bonalumi, si è registrato molto interesse per Lucio Fontana, soprattutto per un taglio unico rosso del 1966 (la richiesta è un milione) e un Concetto spaziale del ’55 nero (2 milioni circa).
C’è storia e c’è lusso anche negli eleganti salottini allestiti da Christophe De Quénetain (Parigi e Londra) e da Perrin (Parigi). Un capitolo a parte è poi offerto dalle scintillanti vetrine della sezione alta gioielleria, dove sfilano tutte le grandi firme e preziose creazioni storiche. Su tutti è da citare Wartski (Londra), dove gli sguardi subiscono il fascino della spilla Fabergé appartenuta a tre famiglie reali europee. Grande ammirazione, dallo stesso gioielliere, anche per «Le baiser», un anello in oro e smalto di René Lalique che condensa in un minuscolo pezzo di vetro la sua incredibile arte da miniaturista (160mila euro).
Fra tutte queste meraviglie, qualcuno, incontentabile, potrebbe obiettare che è tutto tirato a lucido, forse troppo, quasi da sembrare nuovo. Ma ciò che non luccica non attira e quindi non vende. È il mercato, bellezza.