Stoian, Marchetti Lamera e Carboni nello Studio La Città

Gli spazi della galleria veronese diventano terreno di confronto per ricerche contemporanee eterogenee, ispirate da questioni esistenziali e ambientali

«Codri Earthquake 7"» (2015), di Victoria Stoian
Camilla Bertoni |  | Verona

L’eterogeneità, stilistica e mediatica, dell’arte contemporanea trova piena espressione nelle grandi tele astratte di Victoria Stoian, nelle installazioni bidimensionali di Antonio Marchetti Lamera e nei dipinti, fortemente caratterizzati dal loro stesso disegno, di Luigi Carboni.

Sono proprio le opere di questi autori protagoniste delle tre mostre che da sabato 28 gennaio inaugurano presso Studio la Città e che saranno visitabili fino all’11 marzo («Luigi Carboni. Come code di lucertole», «Victoria Stoian. CodNis» e «Antonio Marchetti Lamera. Eclissi e riflessi. La rivoluzione di Aristarco»). Se un filo conduttore può essere individuato in questa molteplice scelta espositiva con cui la storica galleria veronese apre il programma del nuovo anno, questo sembra potersi leggere nelle forze primigenie che regolano i processi esistenziali e ambientali.

Nata in Moldavia nel 1987, torinese d’adozione dal 2009, Victoria Stoian, la cui mostra è realizzata in collaborazione con la galleria Peola Simondi, dedica le opere del ciclo «Codri Earthquake» alle devastazioni delle foreste Codri a causa del terremoto che ha colpito la Moldavia nel 2011.

Se in questo caso le sue sono elaborazioni astratte della violenza delle forze naturali, nella serie «Nistru-Confines» le tensioni riprodotte sono frutto delle azioni umane, in particolare dalle vicende militari, politiche e sociali che hanno segnato la storia degli ultimi decenni della regione della Transnistria.

Il tema del tempo, nella relazione tra quello umano e quello cosmico, è sondato invece nelle opere di Antonio Marchetti Lamera, originario della provincia di Bergamo dove è nato nel 1964. «Cronos», «Gea», «Elio» e «Trame d’ombra» sono le quattro installazioni che alludono agli «elementi che ricreano un orologio solare», come scrive il curatore Matteo Galbiati, orologio che scandisce il tempo umano e che si genera attraverso l’interazione di luce, ombra, movimento della terra e dei corpi cosmici.

Pesarese, classe 1957, Luigi Carboni dipinge tele di grandi dimensioni nelle quali l’energia creativa si sprigiona dal dialogo serrato tra disegno e pittura. Le tredici opere del ciclo «Ridisegnare», nato nel 2019, recano segni grafici che emergono con forza e che restituiscono al disegno una specifica funzione espressiva, tutt’altro che ausiliaria.

Protagonisti delle composizioni sono corpi disgregati, un’umanità resa frammentaria dall’ambiente da lei stesso creato, denso all’eccesso di stimoli visivi e forzato da ritmi incalzanti. L’artista le definisce «opere che mettono in discussione la forma nell’istante del suo rivelarsi, tentativo di fissare qualcosa che ogni volta fallisce» E a proposito del tratto che anima le tele aggiunge: «Il segno sulla superficie si complica, si infittisce, segni urgenti, segni pulsanti, che si agitano “come code di lucertole”».

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