Spremitura d’artista
Gli alberi d’olivo (e le lattine d’olio) di Van Gogh sono l'ultima trovata commerciale di un brand universale che si è ormai sostituito all’artista

È proprio vero che di Van Gogh, come del maiale, non si butta via niente. Adesso stanno esplorando il capitolo dei rapporti con gli alberi d’olivo («Van Gogh and the Olive Groves», al Van Gogh Museum di Amsterdam fino al 12 giugno, poi al Minneapolis Institute of Art dal 25 giugno al 18 settembre), soggetto ovviamente prediletto dall’artista.
Non per meriti formali particolari: in mezzo agli olivi ci ha vissuto, ovvio che li mettesse anche nei suoi quadri. Fosse vissuto dalle parti di un querceto, avremmo Van Gogh e le querce, fosse stato un nordico avremmo Van Gogh e le betulle eccetera. E bisogna fare attenzione, perché in gioventù ha pure frequentato dei mangiatori di patate. Credo che al pittore non fregasse niente degli alberi in sé: a occhio, il suo rovello era ben più complicato, e se fai il paesaggista è un po’ inevitabile che ti guardi intorno.
Ma l’occasione è ghiotta, perché ormai all’evento in sé si attorcigliano tutte le possibilità di spremere denaro che si collegano al soggetto: spremere è termine appropriato, visto che la manifestazione ha avuto subito l’appoggio entusiasta di un celebre oleificio italiano, che offre per l’occasione «una special edition di lattine d’autore» con tanto di faccione del pittore sulla lattina, che «filologicamente» (!!!) riproduce quelle con cui l’olio suddetto iniziò a essere commercializzato.
Cioè, ci sono pure delle lattine finto-vintage, a celebrare Van Gogh, il che renderebbe imperdibile l’occasione. Ne hanno fatte di tre tipi: una con un oliveto, e ci sta, una col faccione di Van Gogh, che ci sta a sua volta per forza, e la terza con un campo di iris, che, direbbe il mitico Di Pietro, «non c’azzecca per niente», ma non è mica il caso di sottilizzare su delle lattine d’olio.
Non ho ancora fatto in tempo a riprendermi dalle «special edition» dei Baci Perugina realizzati in onore dell’artista che vendevano alla mostra milanese di Hayez, e adesso mi toccano delle lattine d’olio, peraltro «100% italiano» precisano, perché il marketing ha ragioni che il cervello non può comprendere.
Quando verrà il turno di Gauguin, grande amico proprio di Van Gogh, si può pensare a un bollino speciale per i suoi caschi di banane, anche se credo che il bananista principe resti, per tutti, il solito Andy Warhol, e quando verrà quello, che so, di Edward Hopper, avremo anche delle «limited edition» di benzina in onore dei suoi distributori di campagna.
Poi, la mostra può anche funzionare. Il tema è così generico che ci sta anche che sia una buona mostra (mai memorabile come «Gli impressionisti e la neve» [Torino, 2004-05] che rimane un must nel genere pretestuoso): e su tutto regna Van Gogh, un brand universale che si è ormai sostituito all’artista, la giusta vendetta per uno che, di suo, non è mai riuscito a vendere un quadro.