Sognate Sibari? È sei metri sotto terra

Il direttore del Parco Archeologico Filippo Demma racconta le difficoltà di riscattare dal degrado e dalla criminalità uno dei siti più importanti della Magna Grecia

Scavi del 1969 nel Parco del Cavallo
Laura Giuliani |  | Cassano allo Ionio (Cs)

È uno dei siti archeologici più importanti del Mediterraneo e dal celebre passato: nello stesso luogo insistono tre città di tre epoche differenti, Sibari, Turi e Copia. Allo stesso tempo però è uno dei siti più complicati da gestire per le innumerevoli criticità che presenta. A dirigere il Parco Archeologico di Sibari sulla costa ionica della Calabria, uno dei tredici musei e istituti dotati di autonomia e per i quali a settembre 2020 sono stati nominati tredici nuovi direttori, c’è Filippo Demma, archeologo campano (1971) con alle spalle una grande esperienza nell’ambito della tutela, del restauro e della valorizzazione in territori non facili come Napoli, la Campania e i Campi Flegrei e in territori di crisi come le Marche dopo il terremoto. Del Parco fanno parte anche il Museo Archeologico Nazionale della Sibaritide (contiguo all’area archeologica) e il Museo Archeologico Nazionale di Amendolara. Seppur nominato a novembre, a causa di ritardi burocratici Demma è diventato operativo solo da metà febbraio assumendo contemporaneamente la direzione ad interim del Polo Museale della Calabria. Da allora non si è mai fermato: il suo lavoro va oltre l’archeologia, impegnato in prima linea con le forze dell’ordine per fronteggiare criminalità, degrado e abusivismo che affliggono le aree di pertinenza del Parco.

Due colonie greche e una romana. Direttore Demma, che cosa è rimasto di quel passato così straordinario?
L’antica città di Sibari fu fondata da coloni achei provenienti dalla Grecia alla fine dell’VIII secolo a.C. La città era famosa per il lusso e per la ricchezza dei suoi abitanti nonché per il fertilissimo territorio circostante, la Sibaritide. Che si estendeva ben oltre i 31 comuni moderni intorno a Cassano dello Ionio, espandendosi nei territori della Calabria meridionale e in quelli della Basilicata più occidentale e alla provincia di Cosenza tra Ionio e Tirreno dove Sibari fondò la colonia di Metaponto e di Poseidonia (Paestum). Un vero e proprio impero fermato e distrutto nel 510 a.C. dalla vicina Crotone. Le fonti narrano che dopo la vittoria Crotone deviò il corso del fiume Crati affinché Sibari non venisse rifondata; in realtà non fu così. I fiumi Crati e Coscile invasero la piana che divenne paludosa, gli Ateniesi la bonificarono nel 444 a.C. (quando vi fondarono Turi, il cui impianto urbano fu disegnato dal celebre architetto Ippodamo di Mileto, Ndr). Oggi le aree archeologiche denominate Parco del Cavallo, Casa Bianca e Prolungamento Strada e Stombi occupano il sito della colonia romana di Copia, ultima città che si sussegue sul sito dell’antica Sibari. Gli abitati delle tre città pur sovrapponendosi non coincidono perfettamente. Copia si è in parte sovrapposta all’antica Turi. Quello di cui siamo certi è che le due grandi strade (plateiai) che caratterizzano il paesaggio del Parco del Cavallo sono quelle del V secolo a.C. riutilizzate poi dai Romani.

Quali sono le difficoltà incontrate all’indomani della sua nomina?
Sibari ha una situazione idrogeologica particolare. Nel corso dei millenni e dei secoli la falda acquifera si è alzata a causa del fenomeno della subsidenza. Pertanto i resti dell’antica Sibari sono sepolti a sei metri sotto terra, annegati dalla falda acquifera. Tutto l’anno sono in funzione sette pompe well-point che pompano l’acqua di falda che altrimenti risalirebbe e allegherebbe il sito. È un sistema molto costoso (circa 100mila euro l’anno di corrente elettrica) in funzione dalla fine degli anni Sessanta quando sono iniziate le campagne di scavo promosse e finanziate dalla Cassa del Mezzogiorno. Il secondo grosso problema è costituito dalla cronica carenza di personale che affligge tutti gli istituti del MiC. Il terzo problema invece, riguarda la legalità e le aree di pertinenza del parco. La superficie complessiva del parco ammonta a poco meno di 500 ettari, una cinquantina tra area archeologica e museo, il resto sono strutture e terreni agricoli dati in concessione dove si possono coltivare solo ortaggi con radici che non penetrano per oltre 30 cm nel terreno. Al momento c’è un forte contenzioso con le concessioni: più di duecento ettari di terreni agricoli sono stati espropriati ma i concessionari continuano a occupare queste terre.

La strada statale ionica che attraversa l’area archeologica di certo non aiuta…
L’asse della statale 106 (che collega Taranto a Reggio Calabria, Ndr) è un enorme vulnus all’interno del parco. Non solo perché attraversa questa grande estensione di terreni agricoli e archeologici rendendola facilmente penetrabile e poco difendibile, ma anche perché consente al suo interno l’esercizio della prostituzione senza contare i continui furti alle nostre pertinenze.

Come pensa di far fronte al problema della sicurezza?
Stiamo tentando di recuperare la piena titolarità delle nostre pertinenze dal punto di vista legale con azioni esperite di concerto con Procura e Carabinieri. Dal punto di vista della messa in sicurezza del patrimonio abbiamo lavorato per tre mesi alla stesura di un progetto con i tecnici del Parco Archeologico di Pompei. Nel contempo ho fatto domanda di finanziamento al Ministero dell’Interno per accedere ai fondi del Poin (Programma Operativo Interregionale) Legalità Sistema di Sicurezza. Siamo così riusciti a ottenere il finanziamento, un notevole investimento che ci consentirà entro il 2022 di mettere in completa sicurezza l’area archeologica dotandola di un sistema antiintrusione con droni, sorveglianza e telecamere. Verrà poi installata una rete 5G che servirà anche per le strutture scientifiche del parco. I visitatori potranno così connettersi e scaricare supporti tecnologici, dalla banale guida del sito con contenuti didattici di medio livello alla didattica in italiano e inglese, all’audioguida per non vedenti, fino a un sistema di interrogazione che consentirà ai visitatori più curiosi e preparati di accedere alle relazioni di scavo e consultare la bibliografia scientifica. Partecipiamo inoltre al progetto Digital Library del MiC per digitalizzare i nostri archivi, dalle lettere alle fotografie, alla scheda inventariale, tutto confluirà in un enorme database.

Nuove tecnologie e nuove risorse per raccontare quello che a Sibari non si vede più?
I supporti digitali servono proprio per raccontare Sibari, che è invisibile perché sotto terra. Quello che noi vediamo in superficie è Copia; il racconto di Sibari, per motivi di costi e di opportunità, non sarà mai interamente visitabile. Lo sarà solo creando uno spazio digitale interattivo, un luogo terzo in cui il patrimonio si presenterà. Inoltre le nuove tecnologie ci consentono di interagire, tracciando il pubblico e coinvolgendolo. Vorremmo lavorare con scienziati, neurologi e sociologi per definire questo terzo spazio producendo contenuti e condividendoli. È quello che ci serve per colmare il gap dell’invisibile.

Sono in programma nuovi scavi?
Abbiamo stipulato una convenzione con la Scuola Imt Alti Studi Lucca e l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli per due anni di ricerche preliminari sul sito appoggiandoci alle competenze di Carlo Rescigno, ordinario della Magna Grecia e accademico dei Lincei, e Maria Luisa Catoni, che vanta una grande esperienza del mondo antico nonché una forte esperienza amministrativa. In convenzione col Parco di Sibari hanno cominciato a realizzare uno studio omnicomprensivo che produrrà una gran parte di quei dati che confluiranno in una grande carta archeologica dell’esistente e del potenziale archeologico. Individueremo così nuove aree di scavo per le quali chiederemo una manifestazione d’interesse da parte di gruppi di ricerca meglio consorziati tra di loro. Affideremo gli scavi al miglior progetto, manterremo però la direzione scientifica fornendo una serie di strumenti, la movimentazione della terra, le pompe idrovore necessarie per tenere gli scavi all’asciutto e i macchinari. In cambio chiederemo la presenza sul sito di un numero minimo di ricercatori che dovranno stare almeno tre mesi l’anno, portando vita scientifica (e non) a questo sito che a settembre muore e che a maggio rinasce, facendo didattica e coinvolgendo il pubblico con iniziative, ma anche pubblicando le ricerche in tempi ragionevoli. Vi sono ancora tantissimi materiali inediti scavati negli anni ’60 e poi negli anni ’80 e ’90. La sede sarà un folder, un sito web in cui le pubblicazioni avranno formato in pdf in italiano e in inglese accessibile al mondo scientifico con un clic.

Come pensa di incrementare il numero dei visitatori del Parco?
Il territorio dell’alto Ionio pur essendo bellissimo e dai colori stupendi, è un territorio difficilissimo dal punto di vista edilizio e un po’ degradato. I turisti chiusi nei villaggi vacanze raramente escono. Il turismo a Sibari è episodico e prevalentemente estivo: 13mila visitatori, pochi dei quali paganti, prevalentemente scolaresche del territorio. Siamo in contatto con l’Università della Calabria che offre un corso di formazione sulle scienze del turismo per lavorare insieme. Contemporaneamente siamo impegnati nel rendere più attraente e facile da visitare il Museo Archeologico Nazionale della Sibaritide inaugurato nel 1992 e rimaneggiato a più riprese (nel ’96, 2005 e 2014). Purtroppo non essendoci mai stato un restyling totale, l’allestimento risulta vecchio e non omogeneo dal punto di vista degli apparati didattici e delle vetrine. Pertanto nell’attesa entro l’anno dell’allestimento definitivo, abbiamo deciso di semplificare il percorso con la scelta di tematiche e di materiali, mantenendo alcune sale e modificandone altre con pochi reperti ben visibili e raccontati, eliminando la didattica precedente e sostituendola con manifesti da strada che riportano in italiano e inglese brevi notizie su ogni sala. La documentazione grafica e fotografica è affissa con puntine da disegno, le didascalie scritte a pennarello sulle vetrine. È uno sforzo enorme di semplificazione per accogliere il nostro pubblico invitandolo a lasciare commenti e suggerimenti non solo su Facebook ma anche a penna su due pannelli completamente bianchi all’inizio del percorso espositivo. Uno degli obiettivi di questa direzione è portare la progettazione partecipata a livello strategico. La Calabria è un territorio complicato, qui anche selezionare delle domande da rivolgere al pubblico è pericoloso. Intendiamo organizzare dei focus group aperti in cui selezioneremo le domande per la stesura di un piano strategico.

Progetti futuri?
Ridurre al massimo l’impatto del Parco dal punto di vista energetico. Stiamo progettando di recuperare uno degli appezzamenti vicino al Museo per creare un campo di produzione di energia alternativa, per ridurre il costo e l’impatto ambientale e per dare vita a un polo didattico. Qui realizzeremo un uliveto sperimentale in collaborazione con il centro ricerche del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria): un uliveto che raccolga tutte le 28 tipologie di ulivo presenti in Calabria, per promuovere la didattica dell’ulivo, dalla pianta ai suoi frutti, dalla lavorazione delle olive al valore alimentare dell’olio. L’ulivo, pianta simbolo della dea Atena, insieme al frumento e alla vite costituisce la famosa triade mediterranea sulla quale per secoli si è basata la produzione agricola del bacino del Mediterraneo.

© Riproduzione riservata Veduta aerea del Parco del Cavallo Una delle sale provvisorie del Museo Archeologico Nazionale della Sibaritide Impianto termale del Parco del Cavallo
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