Il nostro Caravaggio: mio, suo e di Pulini

Sgarbi & Caravaggio: a partire dall’«Ecce Homo» una carrellata in nome della connoisseurship

L'Ecce Homo recentemente scoperto (particolare)
Maria Cristina Terzaghi |

Difficile sapere se Vittorio Sgarbi sia stato il primissimo ad attribuire l’«Ecce Homo» di Madrid a Caravaggio. Personalmente sono disposta a credergli, tuttavia, per sua stessa ammissione, bisognerebbe controllare la cronologia dell’iPhone di Massimo Pulini e della sottoscritta, per recuperare la data di ricezione della fotografia del dipinto, e anche in quel caso l’indagine andrebbe allargata a chi ha attribuito l’opera ma non ne ha scritto, a chi se l’è tenuto per sé, e forse anche a chi lo ha solo ipotizzato... Ad ogni modo, se non c’è dubbio che, in sequenza, io sia stata la più lesta a prendere l’aereo, Massimo Pulini il più veloce a consegnare le sue riflessioni al web, certamente Vittorio è stato il più rapido a pubblicare un libro sulla tela.

Si tratta di un volumetto a più mani uscito per i tipi de La nave di Teseo, ed aggiornato all’inizio di giugno, che si presenta come un dossier sulla scoperta del dipinto madrileno. Al saggio di Sgarbi in apertura fa seguito la disamina sui documenti conosciuti relativi agli «Ecce Homo» di Caravaggio offerta con la consueta precisione da Francesca Curti, la ricognizione di quel che fino a giugno era noto sulla provenienza della tela di Michele Cuppone, autore anche di una completa rassegna di quanto pubblicato sull’opera nei primi due mesi dalla sua scoperta, alcune note iconografiche di Sara Magister e, infine, una testimonianza sull’agnizione dell’opera di Antonello di Pinto.

Nella seconda parte del libro vengono riproposti i dipinti certi di Caravaggio emersi dal 1951 ad oggi (non trovo però «I Bari» del Kimbell Museum pubblicato da Christiansen e Mahon nel 1988, non so come mai). Infine, un esercizio su due «quesiti caravaggeschi», il «San Francesco in estasi» e la «Maddalena in estasi», tele assai note per le molteplici versioni più volte proposte come autografe, a cui vengono qui aggiunte alcune nuove idee attributive dello stesso Sgarbi.

Nel saggio introduttivo è racchiusa l’idea guida del volume: un vero Caravaggio si impone con un’evidenza che non dà luogo a troppe divergenze attributive. Profondamente convinto dell’attendibilità della connoisseurship, Sgarbi pubblica la sua più importante fatica su Caravaggio (fatta eccezione per la bella mostra al Museo Diocesano di Milano «Gli occhi di Caravaggio», le altre due pubblicazioni dell’autore sull’artista sono il paperback per Skira 2010 e Il punto di vista del cavallo, volumetto che fa da corredo allo spettacolo teatrale del 2015 sulla contemporaneità del Merisi) senza una sola nota, basandosi esclusivamente sulla forza della lettura stilistica, e infischiandosene del resto.

Un libro senza note è come un viaggio senza valigia, non è da tutti, ci vuole coraggio. In questo credo che il volume offra una prova non da poco: dal corpo a corpo di Sgarbi con la pittura scaturisce sempre qualche vitale scintilla. Ci vede chiaro, anzi chiarissimo, ad esempio, quando afferma parlando del quadro madrileno: «Il personaggio in ombra, disturbato da se stesso, sembrerà un suggerimento per Tanzio da Varallo».

Avessi dovuto mettere un riferimento, ecco, avrei rimandato alla mostra napoletana del 2014 a Palazzo Zevallos, dedicata a «Tanzio incontra Caravaggio», tutta costruita sull’incontro dei due geni nella Napoli del secondo lustro del Seicento, dove il pittore piemontese precedette di pochi mesi il lombardo. Ha ragione Sgarbi: Tanzio lo vide, questo «Ecce Homo», in quella Napoli gremita di pittori stranieri in cui il Merisi dovette sentirsi forse il migliore, comunque uno dei tanti. A questo volume seguiranno certamente altri con più dati, ma molti dati fanno un’idea? Meglio chiederselo spesso.

Ecce Caravaggio. Da Roberto Longhi a oggi
di Vittorio Sgarbi, 264 pp., ill. col. e b/n, La nave di Teseo, Milano 2021, € 20

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