Senza le persone non è più uno spazio

La monografica di Walter Niedermayr a Camera tocca i temi fondanti della sua opera, dove spazio e presenza umana si confrontano attraverso uno spettro che va dai ben noti paesaggi alpini all’architettura, dagli interni alle distese urbane

Walter Niedermayr, «Spazio immagine (Bildraum), S 299», 2013. Cortesia di Ncontemporary, Milano, Galerie Nordenhake, Berlino/Stoccolma © Walter Niedermayr
Chiara Coronelli |  | Torino

«Walter Niedermayr. Transformations» è la personale che Camera dedica all’artista altoatesino (Bolzano, 1952) dal 29 luglio al 17 ottobre, a cura di Walter Guadagnini con la collaborazione di Claudio Composti e Giangavino Pazzola. La mostra, che espone una cinquantina di grandi formati e due video, si concentra sugli ultimi vent’anni di produzione toccando i temi fondanti della sua opera, dove spazio e presenza umana si confrontano attraverso uno spettro che va dai ben noti paesaggi alpini all’architettura, agli interni, alle distese urbane.

Per quanto ancorato alla tradizione fotografica italiana che parte dal paesaggio per leggere la realtà sociale, Niedermayr fa dello spazio fisico il «perno di una relazione trasformativa tra ecologia, architettura e società». I suoi progetti sono perlopiù organizzati in dittici e polittici dove lo sguardo è chiamato a percorrere l’ambiente per apprezzarne la complessità e le stratificazioni indotte dall’operare dell’uomo, e intravedere la fragilità del nostro habitat, resa anche dal chiarore dei colori desaturati.

«Una certa fotografia, dice in un’intervista, coltiva l’ossessione per gli spazi puliti, senza persone. Il landscape e l’architettura, o semplicemente lo spazio, esistono con le persone: se non ci sono persone, non esiste spazio». Nella serie «Alpine Landschaften (Paesaggi Alpini)», di cui Camera presenta un’ampia selezione, i rilievi coperti dalla neve, che quasi ne cancella proporzioni e profondità, diventano paesaggio grazie alla presenza umana che ristruttura l’ambiente. Sono le file degli escursionisti e i gruppi degli sciatori che rivelano l’ambiguità del nostro rapporto con la natura, da un lato disturbando la contemplazione del territorio, dall’altro diventando parametro di riferimento per la percezione dello spazio.

Di ambiguità parlano anche i cannoni sparaneve della recente serie «Portraits (Ritratti)», giganti tristi e solitari fotografati in estate avvolti da teli protettivi, come presenze insensate, «espressione personificata della nostra società dei consumi». Con «Raumfolgen (Spazi Con/Sequenze)» si passa ai reparti degli ospedali, ai laboratori, alle catene produttive industriali, alle prigioni, luoghi costruiti per essere efficienti e rispondere a necessità sempre diverse.

Mentre «Koexistenzen (Coesistenze)», allestito nel corridoio di Camera, è una ricerca sui Comuni della Magnifica Comunità di Fiemme, in Trentino Alto Adige, una «vicinia» nata nel 1111 come esperimento comunitario di condivisione. Qui le immagini si focalizzano sulle case dei paesi raccontando un abitare che sa relazionarsi alle esigenze economiche e sociali.

Si passa poi ai lavori sull’architettura, primo fra tutti quello sui progetti dello studio giapponese Sanaa, dove lo studio delle prospettive e la moltiplicazione della visione arriva quasi a smaterializzare la costruzione, a darla come conglomerato di luce. Esposti anche due dittici inediti scattati su committenza nel cantiere di Palazzo Turinetti, dove ad aprile 2022 aprirà la quarta sede delle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo (catalogo Silvana Editoriale).

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