Secondo Dibbets la realtà è un’astrazione

La personale ospitata da Loom Gallery rende omaggio a uno dei pionieri dell’Arte concettuale

«Colorstudy, S9, yellow» (2012), di Jan Dibbets. Cortesia dell’artista e di Loom Gallery, Milano
Francesca Interlenghi |  | Milano

Fino al 22 luglio, Loom Gallery presenta la prima personale in galleria di Jan Dibbets (1941, Weert, Paesi Bassi) dal titolo «50 Years of Colourstudies», rendendo così omaggio a uno dei pionieri dell’Arte concettuale, e parte dagli esordi della Land Art e dell’Arte Povera, che sul tema della convezione della visione ha fondato tutta la sua ricerca. La mostra presenta i più recenti risultati (dal 2010 al 2022) della serie «Colorstudies», iniziata dall’artista olandese alla fine del 1975. Tutte le ultime produzioni appartenenti a questa serie nascono da un’unica fotografia scattata nel 1976, anch’essa esposta in questa occasione.

Dalla seconda metà degli anni Sessanta, Dibbets è tra i primi ad esplorare le potenzialità del mezzo fotografico. Approcciando la fotografia con l’intento di un esercizio intellettuale, alla stregua di una pratica filosofica connessa con l’esperienza del pensiero, diventa fautore di una messa in questione, potenzialmente infinita, dell’atto del vedere. Fra i primi artisti a utilizzare la pellicola a colori e a sviluppare un approccio pittorico alla fotografia, si è imposto nel panorama internazionale per la sua pratica innovativa, ulteriormente amplificata dalle possibilità che può offrire oggi la reinterpretazione digitale.

Esito dell’indagine speculativa sulla struttura dell’immagine fotografica, i «Colorstudies» sono la più efficace testimonianza visiva della convinzione di Dibbets secondo cui «La realtà è un’astrazione». Nella prefazione del libro di Erik Verhagen del 2007 Jan Dibbets. The photographic work, l’artista afferma: «Penso che la natura possa incarnare un’astrazione superiore a quella immaginata da Cézanne e Mondrian. Cézanne non poteva pensare senza la natura, Mondrian non poteva pensare senza il verticale e l'orizzontale. In Cézanne manca l’astrazione, in Mondian la realtà. Le due possono essere fatte coincidere se si pongono non più in parallelo ma sullo stesso piano. Cézanne ha fatto un’astrazione della realtà e Mondrian ha fatto una realtà dell’astrazione. [...] C’è una soluzione migliore di quelle offerte da Cézanne e Mondrian: dimostrare che la realtà è un’astrazione».

La serie, realizzata con vernici lucide applicate su carrozzerie che sono state poi fotografate, si manifesta in una ricchezza di «texture», che coinvolge il colore sia in termini di luce che come pigmento. L’artista si è avvalso di tecniche estremamente sofisticate, che gli hanno permesso di ottimizzare la trascrizione dei diversi colori aprendo così l’opera al piacere della percezione.

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