Se invece di «intelligenza» la chiamassimo «razionalità», ci sentiremmo meno minacciati?

È inevitabile che alcune professionalità andranno perdute o ridisegnate nei «task» e nelle «skill», assumeranno nuove forme, ma quali dinamiche sono già in atto ad esempio nel processo creativo di un’opera d’arte?

Un frame da «Ethereal Elegance: An AI Odyssey» (2023) di Stefano Maccarelli
Karin Gavassa |

Storicamente, quando l’uomo si trova di fronte a forti accelerazioni tecnologiche e scientifiche il suo atteggiamento è generalmente di paura, scetticismo, difficoltà ad accogliere il cambiamento e il progresso di quella che si presenta come nuova realtà, o (rispetto al periodo che stiamo vivendo) come «post realtà». Ci troviamo oggi con un lutto da elaborare, la perdita del noto per abbracciare un nuovo ignoto, con i suoi pro e contro, benefici e paura verso le intelligenze artificiali generative. Un processo in atto in realtà da almeno sessant’anni, periodo in cui questi media sono stati desiderati, pensati, immaginati, se teniamo conto di quella che viene considerata la data di nascita ufficiale, il 1956.

Influenzata da numerose discipline tra le quali la filosofia, la matematica, la psicologia, la cibernetica, le scienze cognitive, l’AI che ruolo ha oggi nel mondo delle arti, quali sono le sue applicazioni già in atto? Come ci ha insegnato Marshall McLuhan è necessario andare oltre il fascino dello strumento in sé per poter accendere un dibattito che sia di qualità, profondo e speculativo, in quanto il mezzo (medium) è il messaggio. Molte discipline ci offrono strumenti interpretativi, come quelli proposti da Mark Fisher che ritorna sul tema dell’assenza di alternativa nei termini di una mancanza di futuro, ossia del ripiegamento su un eterno presente che sarebbe tipico della contemporaneità segnata dai «Lost Futures».

Come si traduce tutto questo nel sistema dell’arte? Giorgio Olivero, curatore della mostra «Perfect Behaviors. La vita generata dall’algoritmo» (fino al 25 giugno alle Ogr di Torino) mette in discussione «l’idea di Intelligenza Artificiale come potente creatura autonoma all’interno di opache scatole nere, sottolineando invece come, dietro agli strumenti di misurazione delle interazioni, ci sia sempre l’intervento di qualcuno». Olivero parla infatti «di presente estremo in cui avviene uno strappo, una lacerazione che oltre a creare paura e smarrimento diventa occasione di un nuovo sguardo per intercettare che cosa accade» tra le linee di fuga di Deleuze e le traiettorie iperstizionali di un futuro che si autoavvera: «Sappiamo che ci stiamo trasformando», scrive Olivero nella mostra, «ma non sappiamo ancora in che cosa, spesso sorpresi di quanto malleabili siano i nostri gusti, programmabili le nostre emozioni e sintetizzabili le nostre identità».

È inevitabile che alcune professionalità andranno perdute o ridisegnate nei «task» e nelle «skill», assumeranno nuove forme, ma quali dinamiche sono già in atto ad esempio nel processo creativo di un’opera d’arte? La Media art digitale si misura da tempo con questi temi che ha fatto propri in diverse modalità, accogliendo i benefici di quella che si rivela essere una collaborazione che amplifica le potenzialità stesse dell’artista.

Ne è sintomo l’opera del multimedia artist Stefano Maccarelli che ha sviluppato «Ethereal Elegance: An AI Odyssey», un’installazione audio video realizzata in modo collaborativo con Gpt-4 (che ne ha scelto anche il titolo), un esperimento in cui l’Intelligenza Artificiale non è stata puramente al servizio dell’artista ma è stata impiegata come un vero e proprio collaboratore con cui discutere scelte e modalità in tutto il processo creativo, definito dalla stessa Gpt «una collaborazione unica e innovativa tra uomo e AI», una meta-opera d’arte che indaga l’impatto dell’AI su svariate attività umane, un esperimento di co-realizzazione che si rivela essere una «esplorazione approfondita dell’impatto dell’AI sulla società, sulle relazioni umane, sulle attività lavorative e su altri temi rilevanti».

La collaborazione della parte musicale è avvenuta, come ricorda Gpt, usando SuperCollider, «un potente linguaggio di programmazione e un ambiente per la sintesi audio in tempo reale e la composizione algoritmica. Abbiamo discusso lo schema di partizione per il mixaggio dei brani, tra cui drone, bassi, suoni sintetici della natura e melodia di rintocchi, con tempi specifici per la riproduzione, il muting e la dissolvenza in entrata e in uscita. Parallelamente, abbiamo esplorato Processing, un software flessibile di schizzi e linguaggio di programmazione per le arti visive, per creare immagini dinamiche e arte generativa. Ciò ha permesso di integrare perfettamente scene video, transizioni ed effetti che avrebbero migliorato l’impatto complessivo dell’installazione».

Se invece che definirla «intelligenza» fosse chiamata «razionalità», l’uomo (sempre che ne intraveda più rischi che potenzialità) si sentirebbe meno minacciato?

SPECIALE AI

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