Scultura impressionista allo Städel

Riaperta fino al 25 ottobre la mostra su una produzione artistica poco nota

Paolo Troubetzkoy (1866–1938), «Adelaide Aurnheimer (Dopo il ballo)», 1897. Collezione privata
Francesca Petretto |

Francoforte. Al solo sentire il termine «Impressionismo» si drizzano le orecchie di tutti gli appassionati, esperti o meno di arte; ma se specificassimo che s’intende parlare di scultura impressionista anziché di pittura sortiremmo lo stesso effetto?
È un po’ la domanda (o la sfida) che si pone lo Städel Museum, che allestisce una mostra (riaperta nei giorni scorsi dopo l'emergenza sanitaria e visitabile ora fino al 25 ottobre) incentrata su questa poco nota produzione artistica degli affiliati al movimento sorto in Francia all’inizio della modernità. 

S’intitola «En passant: la scultura impressionista» e pone al centro del progetto di allestimento le sculture di cinque grandi, Edgar Degas, Auguste Rodin, Medardo Rosso, Paolo Troubetzkoy e Rembrandt Bugatti, accompagnate e messe in dialogo con molti arcinoti dipinti, disegni, stampe di loro famosi colleghi fra cui Pierre Bonnard, Antoine Bourdelle, Mary Cassatt, Camille Claudel, Max Liebermann, Henri Matisse, Claude Monet, Auguste Renoir, Giovanni Segantini e John Singer Sargent per un totale di 160 opere di altissimo livello.

Alcune sono della collezione di casa, molte altre hanno raggiunto Francoforte in qualità di prestiti di istituzioni pubbliche e privati sparsi per il mondo. Tutto ciò per cercare di comprendere se la produzione di quei primi cinque sia mai riuscita a traslitterare nella plastica effetti coloristici e/o rivoluzionarie tecniche di amici/rivali pittori nel corso di quella fantastica stagione parigina e anche dopo.

O forse la cosiddetta scultura impressionista, nata ufficialmente a Parigi nel 1881 con la «Petite danseuse de quatorze ans» di Degas (guest star a Francoforte) è riuscita a trovare piuttosto un proprio linguaggio e una propria forma connotante? Alcune possibili risposte nella mostra di Alexander Eiling ed Eva Mongi-Vollmer.

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