Sabine Moritz vuole fermare l’istante

Ospite della galleria Gagosian la pittrice tedesca presenta le sue meditazioni sul tempo

«For the lovers VI» (2023), di Sabine Moritz (particolare). Foto: G. Michaloudis
Guglielmo Gigliotti |  | Roma

Per la sua prima mostra con Gagosian, fino all’11 novembre, l’artista tedesca Sabine Moritz ha scelto Roma e per titolo «August», il mese nel quale il tempo è, per i più, sospeso. Le meditazioni sul tempo sono infatti il motore della pittura della Moritz, ma non il tempo che fugge, bensì quello che resta: quello dei ricordi.

Nata nel 1969 in una cittadina della Germania Est, emigra con la famiglia nel 1985 nella Germania Ovest. Il primo ciclo di opere, eseguite nel 1991-92 nelle aule dell’Accademia di Belle arti di Düsseldorf, ha come soggetto proprio gli sfumati ricordi della sua infanzia nel Paese comunista che, a quel tempo, si era da poco dissolto politicamente sposando l’entità occidentale e capitalista.

In quelle stesse aule incontra Gerhard Richter, in qualità di docente. Diventerà suo marito. Il tempo prosegue il suo corso, nascono tre figli, ma i processi psichici di Sabine Moritz vanno controcorrente: «Penso sempre al tempo. Nel mio studio cerco di fermarlo», spiega l’artista. A Roma la pittura come tracciato esistenziale prende corpo in un gruppo di grandi dipinti e vari disegni, quasi tutti realizzati nel 2023.

Materia prima dei dipinti è la pennellata, che reiterata e stratificata, si annoda sulla tela in fitte sequenze filamentose, figlie di una gestualità neoinformale, in cui l’atto della stesura si fa principio e fine dell’idea creativa. A dominare l’immagine, intrecci di colore rosso-arancio, giallo, verde e blu, in effervescenze esplosive di apparente caoticità, in verità ponderatamente intessute. È fluente scrittura policroma ed energetica, capace di suggerire un’ampiezza della tela maggiore di quella effettiva, perché deflagrante negli occhi di chi guarda.

Ad incentivare tale effetto, i temi, sovente letterari, allusi nei titoli. Come «Diana e Atteone», ovvero la storia, narrata da Ovidio, dello sventurato cacciatore sbranato dai suoi stessi cani, perché trasformato dalla dea in cervo come punizione per averne spiato le nudità al bagno. È una metamorfosi, ispirata dalla fantasia, così pure i dipinti della Moritz, secondo sue dichiarazioni. Nelle sue tele, il tempo, il principale motivo dell’umana ansietà, raffrena e ristagna, ma questo non vale per i processi trasformativi, che invece guidano concezione e dinamiche delle immagini.

L’artista chiama le sue composizioni «paesaggi psicologici», «racconti», «visioni». In esse gli esordi figurativi non sono negati, ma, per l’appunto, trasformati. Accedere all’astratto, come la Moritz ha fatto negli ultimi cinque anni, corrisponde per lei a una compenetrazione della materia originale, come un microscopio che si addentra nella vita delle molecole per captarne la vita profonda.

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