Riunito metà «fregio di Enea» di Dosso Dossi
Per la prima volta insieme cinque dipinti dei dieci che il pittore emiliano realizzò tra il 1518 e il 1521 per lo studiolo di Alfonso I d’Este

La mostra «Dosso Dossi. Il fregio di Enea», aperta alla Galleria Borghese dal 4 aprile all’11 giugno, a cura di Marina Minozzi, riunisce per la prima volta cinque dipinti dei dieci che il pittore emiliano realizzò tra il 1518 e il 1521 per lo studiolo di Alfonso I d’Este, duca di Ferrara. Solo sette tele, di questo poema pittorico, sono state nel tempo identificate dagli storici dell’arte.
Nello stesso studiolo, disallestito nel 1598, il ciclo ispirato ai primi capitoli dell’Eneide di Virgilio figurava assieme ai «Baccanali» dipinti da Giovanni Bellini e da Tiziano, per lo stesso mecenate e raffinato cultore delle arti. E dei veneti, soprattutto di Tiziano, e ancor più Giorgione, la pittura di Dosso Dossi fu inventiva filiazione e visionaria interpretazione.
Lucenti paesaggi e ariose cromie contrassegnano infatti gli episodi del poema, integrati da una verve favolistica e fantastica propria dell’artista, che prescelse, quado poté, soggetti mitologici, letterari o esoterici. Il cosiddetto «fregio di Enea» incarna quindi proprio quel mondo poetico in cui il pittore si sentiva a casa, come dimostra l’olio su tela in mostra «Enea e Acate sulla costa della Libia», o quello che raffigura «I Troiani che riparano le loro navi sulla riva», seguito da «Enea nei campi Elisi» e da «I giochi siciliani in onore di Anchise».
Le opere, disperse ora in musei e collezioni private in vari angoli della terra, tornano nella sede dove li raccolse il cardinale Scipione Borghese all’inizio del Seicento, sede che possiede tutt’ora la collezione più vasta di opere del Dossi, tra cui la «Melissa» del 1515-16 e l’«Apollo» del 1524. Tra i musei prestatori, il Prado, il Louvre Abu Dhabi, La National Gallery of Art di Washington, la National Gallery of Canada di Ottawa.
Come scrive Marina Minozzi, per Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V, «la vicenda di Enea come fondatore di una nuova città e un nuovo impero aveva un profondo significato legato all’esistenza stessa del pontificato e del suo saldo rapporto con le origini di Roma». Non a caso, lo stesso Scipione commissionò a Bernini il gruppo scultoreo di «Enea e Anchise».