RAFFAELLO 500 | Parliamo di felicità
Antonio Forcellino: «La capacità di Raffaello di eliminare i conflitti, non solo nei dipinti, è la sua eredità più importante»

È molto difficile oggi immaginare la tristezza che avvolse Roma una sera di 500 anni fa, quando si sparse per la città immersa nei riti solenni del Venerdì Santo la notizia della morte prematura di Raffaello Sanzio. Il Papa aveva di continuo mandato i suoi famigli a casa dell’artista a prendere notizie sulla sua salute e molti si turbarono al punto da leggere nelle circostanze di quella morte (Raffaello era nato di Venerdì Santo) un segno sovrannaturale.
Oggi per noi, in conseguenza di una sfortuna critica che nell’ultimo secolo ha molto ridimensionato la sua figura, Raffaello è solo il pittore eccellente che ha resuscitato la bellezza e la grazia classica facendone un attributo commovente della devozione cristiana. Il pittore che riusciva a ritrarre uomini più simili a loro stessi nei suoi ritratti che in persona. Ma Raffaello era molto di più di tutto questo, era l’uomo che aveva saputo
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