Rä di Martino gioca a dadi
La personale al Forte Belvedere si articola sui due piani della palazzina, catapultandoci in un universo straniante dove personaggi provenienti dalla cultura pop e dal cinema hollywodiano si muovono in ambientazioni atemporali

A Forte Belvedere la mostra di Rä di Martino «Play it Again» (18 giugno-2 ottobre), sotto la regia curatoriale del Museo Novecento, si articola sui due piani della palazzina, catapultandoci in un universo straniante dove personaggi provenienti dalla cultura pop e dal cinema hollywodiano (non solo come citazioni ironiche, ma nelle tecniche stesse di ripresa e di illuminazione) si muovono in ambientazioni atemporali, in contesti volti a destabilizzare lo spettatore e nei quali la musica svolge un ruolo importante.
Le narrazioni di Rä di Martino esplorano «ipotetiche galassie e pianeti lontani, di ombre umane ritagliate e puntellate sulla crosta lunare» come scrive Ester Coen, per una «reinvenzione del mondo futuro che recupera i frammenti del passato, che dell’alieno ricerca la psiche vibrante dell’origine, in un dialogo moderno dai fondamenti platonici».
La mostra si compone di un nucleo di lavori di anni precedenti e di un’opera pensata invece per gli spazi del Forte, «The Laughing Dice»: un video a inquadratura fissa in cui una serie di dadi sono lanciati su uno sfondo grigio all’interno di una stanza monocroma e vuota disegnata in 3D. Il viso di un uomo (l’attore Lino Musella) appare su ogni faccia del dado, recando un’espressione diversa, dal pianto al riso. Lo spettatore finisce così per riconoscere in quel volto il suo alter ego, e coglie, nel succedersi dei lanci, che producono diverse emozioni, le tante possibilità della vita, orchestrata da un ignoto burattinaio.
Al secondo piano l’installazione inedita di opere realizzate nel decennio scorso sviluppa una nuova narrazione, in cui lo scenario di una guerra con carrarmati, tra verità e finzione, ci suggerisce che nulla può essere accolto come appare. La storia non è quindi più affrontata con un approccio di critica dimostrativa, ma facendo ricorso, in maniera seria e ironica, spettrale e ludica al tempo stesso, a dispositivi tesi a far emergere ambiguità, in una messa in scena di conflitti reali e fantastici.