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Prigioni multietniche

Massimiliano Cesari

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Volti, disegni, iscrizioni, stemmi nobiliari e altre tracce grafiche riemergono dall’oscurità dei secoli, riportate da uomini sconosciuti sulle pareti delle prigioni sotto la cosiddetta torre «mozza» del Castello Carlo V. Un repertorio di immagini che riaffiorano da un passato terribile, riconsegnandosi, con la forza della testimonianza, agli occhi dei contemporanei.

Gli interventi di restauro appena conclusi dalla Soprintendenza di Lecce hanno riportato alla luce numerosi «segni» di detenuti che nel corso dei secoli hanno condiviso quei luoghi. Si vedono infatti tracce «multietniche», evidenziate da parole in ebraico e altre lingue. Nomi di persone, un Lorenzo e un Antonio, quest’ultimo che impreca contro il traditore che lo condusse in quelle segrete; compare anche un sant’Antonio da Padova, ultimo appiglio di speranza e redenzione. Un uomo e una donna, graffiti con estremo realismo, restituiscono invece una dimensione intima, quasi domestica, del prigioniero. 

Le prigioni, afferma la soprintendente di Lecce Maria Piccarreta, potrebbero essere fruibili e aperte al pubblico «entro la fine dell’anno. Stiamo dialogando con il Comune per decidere della gestione condivisa del Castello e costruire un accordo che consenta di visitare il maniero». Il progetto della Soprintendenza, illustrato lo scorso 24 maggio, alla presenza del sottosegretario per i Beni culturali Antimo Cesaro, è quello di realizzare una guida multimediale che avrà come ciceroni virtuali l’architetto militare Gian Giacomo dell’Acaya (1500-70), che adeguò il castello alle moderne esigenze difensive (e nelle sue prigioni trovò la morte), e un frate abitante del Castello. Un percorso che includerebbe anche gli altri spazi (i camminamenti delle mura, le gallerie ipogee, gli ambienti delle ex scuderie, la cappella di san Francesco e le sale del lato est), recuperati grazie ai 6 milioni dei fondi Poin Fesr 2007/2013. Il circuito prevede anche una mostra permanente dei reperti archeologici emersi durante i lavori di ricerca condotti, nel 2004, dall’équipe di studiosi dell’Università del Salento, guidati da Benedetto Vetere e Paul Arthur, che schedarono i graffiti e le iscrizioni, realizzando anche una ricostruzione in 3D dell’ambiente (www.castellolecce.unile.it). Materiale che ha confermato la frequentazione del sito già dalla fine del XIII secolo. Un suggerimento di destinazione di alcuni ambiente del Castello è giunto dallo stesso Cesaro, per il quale «potrebbero ospitare mostre di arte contemporanea perché questo potrebbe essere davvero un suggestivo spazio espositivo con contaminazioni fra stili differenti».

In effetti gli spazi del Castello, anche quelli ipogei, sono già stati «invasi» dai linguaggi visivi contemporanei, come testimonia la mostra «La materia e la forma», a cura di Toti Carpentieri, con installazioni dei pugliesi Fernando De Filippi, Sandro Greco, Armando Marrocco, Salvatore Sava, Salvatore Spedicato.

Massimiliano Cesari, 16 agosto 2016 | © Riproduzione riservata

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Prigioni multietniche | Massimiliano Cesari

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