Più sinceri dietro la maschera

Dal Ku Klux Klan alle Pussy Riot, al Cccb di Barcellona 150 anni di «finti volti»: strumenti sovversivi e clandestini per celare la nostra vera identità ma anche copertura di fenomeni inquietanti di oggi

Roberta Bosco |  | Barcellona

Chi l’avrebbe mai detto che una mostra sulla storia della maschera sarebbe stata inaugurata nel momento in cui una pandemia costringe il mondo a vivere nascondendo naso e bocca. «La maschera non mente mai», aperta nel Centre de Cultura Contemporània de Barcelona (Cccb) fino al primo maggio, propone un excursus sull’uso e il ruolo della maschera in relazione alle politiche di controllo dell’immagine, alla resistenza culturale all’identificazione, alla difesa dell’anonimato o al modo in cui i dissidenti l’adottano come simbolo di identità.

«Le maschere servono a comunicare con l’invisibile, ma hanno anche una componente sovversiva e clandestina. Ci permettono di mantenere in segreto la nostra identità e di realizzare i nostri desideri più proibiti al riparo da sguardi indiscreti», dichiara lo scrittore e attivista culturale Servando Rocha, che ha curato la mostra basandosi sul suo libro Algunas cosas oscuras y peligrosas. El libro de la máscara y los enmascarados (edito da Felguera), pubblicato pochi mesi prima dello scoppio della pandemia.

Rocha, insieme al responsabile delle mostre del Cccb Jordi Costa, ripercorre la storia delle maschere negli ultimi 150 anni dal punto di vista culturale, antropologico e politico, attraverso sette aree tematiche illustrate da opere d’arte storiche (di, tra gli altri, Félicien Rops, Leonora Carrington, Remedios Varo e Lavinia Schulz) o create appositamente per questo progetto e oggetti che permettono di comprendere sia la polisemia della maschera (passamontagna zapatisti, maschere da wrestler messicane, maschere antigas, maschere Perchta del folklore austriaco...) sia i contesti in cui l’occultamento del volto assume un aspetto politico (oggetti massonici, la macchina fotografica utilizzata nel sistema antropometrico del criminologo Alphonse Bertillon, opuscoli di movimenti attivisti...).

«Tra il Ku Klux Klan e le Pussy Riot c’è un repertorio eterogeneo di maschere dietro le quali si nasconde non solo un’identità, ma anche l’origine di alcuni fenomeni che caratterizzano il nostro presente, come le fake news, la “cospiranoia” o i meccanismi di controllo biopolitico», spiega il curatore che apre il percorso con un’inquietante maschera neolitica e lo chiude con una gigantesca mascherina chirurgica.

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