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Perse centinaia di milioni Ue

In Sicilia bloccati 51 milioni: progetti sbagliati o in ritardo. A Napoli l’Unesco indaga per 100 milioni non utilizzati

L’incapacità di spendere la parte dei fondi dell’Unione europea destinati alla cultura riguarda soprattutto tre Regioni: Sicilia, Calabria e Campania. Centinaia i milioni sprecati, dimenticati o restituiti: quindi perduti per arte, turismo e interventi sul patrimonio culturale. Altre regioni italiane (Friuli, Liguria, Lombardia e Toscana in testa, ma anche Basilicata e Puglia) riescono a usare il denaro comunitario con una percentuale tra il 70 e l’80%, in linea con i più virtuosi Paesi dell’Unione. Ma spiccano due esempi negativi clamorosi: il caso Sicilia e il caso Napoli.

La Sicilia non è stata capace di spendere entro il 31 dicembre 2015, e quindi ha dovuto dire addio a 51 milioni che avrebbero dovuto essere investiti nel patrimonio culturale dell’isola. Colpa di progetti sbagliati o insufficienti, di schede mal scritte o inviate addirittura a indirizzi inesistenti. Un duro colpo per la Regione, umiliante anche per la sciatteria e le tante bocciature dovute a «progetti non ammissibili», elencati minuziosamente nella circolare di Bruxelles che chiede ragioni dei finanziamenti 2007-13. Viene inviata a fine anno a tutti i Paesi europei che ricevono contributi per la cultura o altri programmi comunitari. Cita, tra l’altro, l’articolo 93 del regolamento Ce 1083/2006: «Le certificazioni all’Ue, complete di programmi e spese, devono essere presentate entro il 31 dicembre dei due anni successivi, pena il definanziamento».

Le mancate corrette certificazioni hanno costretto l’Unione europea a respingere anche la richiesta, 2,4 milioni di euro, per il nuovo allestimento del Museo di Aidone che esporrà la Testa di Ade, scavata illegalmente a Morgantina e appena recuperata dagli Usa. Anche il progetto di Aidone, scrivono i funzionari dell’Ue, «è stato escluso a causa di schede incomplete, quadro economico carente e livello progettuale mancante». Il pessimo stato dei beni culturali in Sicilia e la cronica incapacità di gestire i fondi comunitari colpiscono una serie di siti in degrado, adesso privati dei fondi già a disposizione per il loro risanamento.

Saltano i 2 milioni per «il restauro, valorizzazione e fruizione del sito archeologico di Eraclea Minoa»: non ammesso a finanziamento perché «inviato ad indirizzo mail sbagliato e per sostanziali carenze nelle schede e nei progetti». I 10 milioni per il consolidamento del Castello Svevo di Augusta (sequestrato dalla magistratura a metà febbraio «per rischio crollo»: tra gli indagati il presidente della Regione Rosario Crocetta) sono stati bloccati «per importo non congruo e altri errori burocratici». Addio anche al restauro della tonnara di Favignana: cancellati i 5 milioni a causa di un «piano lavori presentato fuori termine». Stessa sorte per il castello di Taormina e niente ristrutturazione del Baglio Case Barbaro nel parco di Segesta. Stop al risanamento urgente di Megara Hiblaea ad Augusta. Tutto per errori burocratici, trascuratezza, incapacità amministrative che costano davvero care alla Sicilia. Pesano anche i progetti non presentati affatto all’Unione europea come quello per Neapolis, l’area del teatro greco di Siracusa, che ha bisogno di restauri non più rinviabili: ora rischia la chiusura come altri beni culturali dell’isola.

L’altro aspetto del problema è lo sperpero dei fondi europei, spesso dilapidati a pioggia in sagre poco più che paesane: 315mila euro per la «scala illuminata» del patrono di Caltagirone, 70mila per il giro podistico di Castelbuono, 43mila per la sagra del Taratatà a Casteltermini, 162mila per il presepe di Custonaci. In tutto 209 eventi, tra i quali la kermesse musicale dal titolo paradossale e allusivo «Palermo non scema», che la Sicilia ha finanziato con i fondi europei per il turismo previsti dai Fesr (Fondi Europei Sviluppo Regionale) per «manifestazioni artistiche e culturali di grande richiamo turistico: finanziamenti destinati a Regioni meno ricche di infrastrutture territoriali». Bruxelles giudica la destinazione di questi fondi di «non grande richiamo turistico» e ha chiesto al Governo siciliano il rimborso di 70 milioni dei 95 erogati e già spesi perché, scrive la Commissione europea, «la promozione culturale del territorio è stata intesa in modo disomogeneo e frammentato: gestita in prevalenza da enti pubblici senza una visione territoriale strategica unitaria».

L’altro esempio davvero assai grave è il dramma di Napoli. L’Unesco vuole sapere perché i 100 milioni di fondi europei destinati al recupero del centro storico della città, patrimonio Unesco dal 1995, non sono stati spesi entro il 2015: ormai la città li ha perduti e non sono più disponibili. La lettera, lapidaria e perentoria del 15 gennaio 2016 (protocollo Clt/her/Wch/8560), è firmata da Mechtild Rossler, direttore della Divisione Patrimonio culturale dell’Unesco di Parigi. Chiede tra l’altro al Mibact e alla delegazione italiana presso l’Unesco se sia stato rispettato il paragrafo 174 delle «Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention», ossia la convenzione per il recupero e la tutela, nei tempi stabiliti, del patrimonio culturale di Napoli. Una situazione sconcertante che crea imbarazzo.

L’Unesco, spiega Antonio Pariante, del Comitato Civico S. Maria di Portosalvo, che aveva da tempo denunciato la perdita di altri 180 milioni di fondi Por europei destinati fin dal 2007 al centro storico della città e mai spesi, «chiede informazioni sugli esiti del cosiddetto “Grande Programma” di riqualificazione della città: restauri di chiese e monumenti mai effettuati nei tempi dovuti». Con gli ultimi 100 milioni erano stati programmati 28 interventi di restauro, specialmente chiese e monumenti del centro storico: alla fine del 2015 ne erano stati realizzati soltanto otto. Si aspetta l’arrivo degli ispettori Unesco per approfondire la situazione e valutare la possibilità di eventuali provvedimenti. È così fallito il complesso programma di restauri dell’immenso patrimonio artistico del centro storico di Napoli, del quale si parla da troppi anni. Basta ricordare che metà delle chiese cittadine, circa 200, molte antiche e di grande pregio, sono chiuse o in degrado. 

Tina Lepri, 12 marzo 2016 | © Riproduzione riservata

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