Per Mazzini fu il precursore di Hayez

Un nuovo studio su Luigi Sabatelli ricostruisce anche la travagliata vicenda della Sala dell’Iliade

Luigi Sabatelli, «Giove che chiama a raccolta tutti gli dei», la terza lunetta con «Giunone entra nella grotta del sonno», 1820-1825, Sala dell'Iliade, Palazzo Pitti, Firenze.
Antonio Pinelli |

Con questo libro, frutto di pazienti ricerche sul campo e penetranti indagini in archivio, Monica Cardarelli compie un atto di riparazione storiografica, ricollocando finalmente Luigi Sabatelli, come dichiara autorevolmente Fernando Mazzocca che ne firma l’introduzione, «tra i grandi protagonisti della cultura figurativa italiana tra Neoclassicismo e Romanticismo».

Di umili origini, Luigi nasce a Firenze da una coppia di domestici del marchese Pier R. Capponi, che ne asseconda l’inclinazione artistica facendolo addestrare al disegno e al bulino, per poi iscriverlo ai corsi dell’Accademia di Belle Arti. Qui il ragazzo primeggia nei concorsi di fine anno guadagnandosi il premio finale di un lungo soggiorno di perfezionamento nella capitale pontificia.

Nella Roma in cui il diciassettenne Luigi approda nel 1789, con in tasca una raccomandazione al cavaliere pistoiese Tommaso Puccini (grande conoscitore d’arte, che gli farà da mentore aprendogli le porte dei maggiori cenacoli artistici), risuona ancora l’eco dell’esposizione degli «Orazi» di David e Canova domina la scena in campo scultoreo.

Grazie all’amicizia con il patrizio novarese Damiano Pernati, Sabatelli pubblicherà un album di suoi disegni dal vero e d’invenzione, incisi da Pernati all’acquaforte, dal titolo non casuale di «Pensieri diversi». Accademia dei Pensieri era infatti il nome delle riunioni serali nelle quali Felice Giani proponeva ad allievi e giovani colleghi, tra i quali Sabatelli, temi scelti dall’Antico o dalla Commedia dantesca, con cui sfidarsi in abbozzi all’impronta.

L’altra palestra in cui si tempra il talento grafico del giovane fiorentino è la scuola privata di nudo tenuta da Domenico Corvi, dove spetta a Leopoldo Cicognara la scelta dei temi. I capolavori antichi e vaticani, David e Canova sono i modelli ineludibili, ma Luigi, nel solco di Giani, s’ispira anche all’immaginario sublime di artisti nordici della generazione precedente, come Füssli, Abildgaard e Carstens.

Terminata nel ’94 l’esperienza romana, Sabatelli va a completare la sua formazione a Venezia per assimilare i segreti cromatici della scuola lagunare: un soggiorno proficuo ma interrotto dalla notizia della morte del padre. Tornato in patria, Luigi comincia così una carriera in cui la pratica del disegno e dell’incisione procede in parallelo con quella della pittura a olio, la cui primizia, eseguita per Puccini, è il capolavoro «Radamisto in atto di uccidere Zenobia».

La Cardarelli trascorre veloce su quanto ha già ricevuto una pionieristica riabilitazione critica da Del Bravo (1978) e dall’esemplare saggio di Spalletti sulla Pittura dell’800 in Toscana (1991), per documentare con ricerche inedite e una preziosa campagna fotografica i misconosciuti prodigi del filone nuovissimo della pittura a buon fresco, medium congeniale al talento di Sabatelli di esecutore all’impronta.

Il felice esordio in Palazzo Gerini funge da passaparola tra la nobiltà fiorentina, che se ne contende i servigi per decorare palazzi di città e ville nel contado, con soggetti profani, cui si aggiungono quelli religiosi in conventi e cappelle gentilizie. Finché, in una Toscana che Bonaparte ha ribattezzato Regno d’Etruria sostituendo ai Lorena i Borbone di Parma, Luigi è chiamato dalla regina reggente Maria Luisa ad affrescare a Boboli, nella Palazzina della Meridiana, un «Sogno di Salomone» in funzione di auspicio per il futuro regno del principino Carlo Ludovico.

Per l’astro nascente Sabatelli si profila l’ambita nomina a pittore di camera della regina e una cattedra di pittura all’Accademia di Firenze, ma poiché Pietro Benvenuti non tollera rivali in Toscana, Cicognara briga per procurare a Luigi una cattedra altrove, ricerca che si concluderà nel novembre 1808: succedere a Brera al conterraneo Giuliano Traballesi.

L’insegnamento a Milano non impedirà a Sabatelli di dedicarsi alla serie di acqueforti con «Visioni dell’Apocalisse» (1810-11) e ad affrescare a Novara una cappella in San Gaudenzio. Ma Sabatelli anela da tempo a misurarsi in patria con gli affreschi di Pietro da Cortona a Palazzo Pitti e l’opportunità è offerta dalla necessità di ridecorare una sala che conclude le stanze cortonesche.

La serie di ribaltoni causati dalle vicende napoleoniche genererà però rinvii a catena: il ciclo tratto dall’Iliade con cui Sabatelli potrà finalmente affrescare la sala nel 1820-25, segnerà il culmine della sua ascesae l’inizio di una tenace sfortuna critica. Il racconto delle peripezie di quest’impresa costituisce il clou del libro, magnificamente illustrato e abilmente sceneggiato dall’autrice grazie al nutrito carteggio tra l’artista e i diversi responsabili del progetto.

Concepita nel 1807 per i Borbone come un fregio che avrebbe dovuto celebrare «I fasti di Amerigo Vespucci», l’impresa subisce un netto cambio di programma quando Bonaparte congeda i Borbone e restaura il Granducato, affidandolo alla sorella Elisa Baciocchi. La decorazione della sala, ribattezzata Cabinet topographique, dovrà celebrare Napoleone: non più un «Trionfo di Aureliano su Zenobia» ma, decisione del 1812, di «Giulio Cesare reduce dalle vittorie in Africa».

Due anni dopo se ne va la Baciocchi e tornano gli Asburgo Lorena i quali, dopo qualche indugio, si risolvono a dar corso ai progetti già predisposti per Pitti, salvo chiedere di «denapoleonizzarne» i cicli più espliciti, come quello del Cabinet topographique. Giuseppe Cacialli, architetto e regista dell’intera impresa, ricicla a tale scopo un tema tratto dall’Iliade.

Nel grande medaglione centrale del soffitto prenderà posto un Olimpo, in cui troneggia Giove, che ha convocato un concilio per esigere che gli dèi siano neutrali nei confronti delle opposte schiere che si fronteggiano davati alle mura di Troia. Nelle otto lunette si snoderà a puntate il romanzo erotico-epico degli intrighi orditi da Giunone, con la complicità di Venere e del Sonno, per adescare Giove, facendolo piombare addormentato. Così Nettuno ne approfitterà per spalleggiare Aiace in battaglia e Apollo gli si opporrà volando a risanare Ettore e ad agevolare l’incendio delle navi greche.

Con il nuovo programma il compito di Sabatelli si è ampliato notevolmente: scelto un sostituto per la cattedra a Brera, nel ’19 il pittore si trasferisce a Firenze e si concentra nell’impresa. Per completarla non gli basterà un lustro. Né sarà meno laboriosa la fase esecutiva, in cui rifulge una tavolozza che mostra come la lezione veneta abbia ceduto il passo all’emulazione dei grandi toscani seicenteschi con esiti originali.

Nella miglior tradizione dei contrasti tra iconologi invadenti e artisti che rivendicano libertà d’azione, Sabatelli evade dalla gabbia di prescrizioni ordita da Cacialli, andando a pescare nell’Orlando furioso spunti di erotismo e realismo per la lunetta con la «Visita di Giunone nella Grotta del Sonno», dove l’Ozio è un nudo e scarmigliato grassone. Non resta che dar conto della conclusione, senza lieto fine, condensata nel capitolo sulla «Sfortuna critica della Sala».

Sabatelli completa il lavoro nella prima metà del ’25 (l’ultima lunetta è affidata al figlio Francesco, che ricalca fedelmente le orme del padre). Al lauto compenso di cinquemila zecchini, il granduca fa aggiungere una ricca tabacchiera con il proprio ritratto e 100 zecchini per il promettente Francesco (che morirà a 26 anni), ma il pittore attende con ansia il verdetto della critica.

La prima recensione esce già nell’estate, ma sorprendentemente sulla rivista romana il «Giornale Arcadico» a firma di un erudito che ne approfitta per sfoggiare tutta la propria competenza iconologico-letteraria limitandosi a rituali complimenti sulla qualità degli affreschi. Poi un lungo silenzio. La doccia fredda arriverà nel ’27, a Firenze, sull’autorevolissima «Antologia», con un articolo anonimo, dietro al quale si cela un suo antico ammiratore, Cicognara, che declina al passato i meriti del pittore come frescante, criticandone aspramente l’Olimpo, «macchina immensa e agglomerata di personaggi d’ogni età e sesso», cui rimprovera la mancata scalatura prospettica e atmosferica.

A stretto giro, la stroncatura verrà rintuzzata punto per punto da un articolo sull’«Antologia», firmato da uno stretto seguace di Sabatelli, con argomenti che forse sono direttamente dettati dal maestro. Ma la verità è che ormai sta per entrare in scena un nuovo protagonista, che appartiene a una generazione più giovane: Francesco Hayez.

Sarà Giuseppe Mazzini, dalla Londra in cui tesse la tela dei moti risorgimentali, a inquadrare storicamente l’intera vicenda nello straordinario saggio La peinture moderne en Italie (1841). Il suo eroe è Hayez, che con il Romanticismo storico allinea la pittura italiana all’avanguardia artistica europea. Al Neoclassicismo dei Benvenuti e degli Appiani va l’onore delle armi che si tributa a un passato in via di estinzione, mentre a Sabatelli, che Mazzini mostra di conoscere perfettamente, spetta il lusinghiero riconoscimento di un ruolo di precursore: «Un Mosè che presagisce la Terra promessa, ma non può entrarvi».

Luigi Sabatelli. La Sala dell’Iliade di Palazzo Pitti (1820-1825)
di Monica Cardarelli, 140 pp., ill. col. e b/n, Edizioni Polistampa, Firenze 2021, € 28

© Riproduzione riservata Luigi Sabatelli, «Giove che chiama a raccolta tutti gli dei», la seconda lunetta con «Giunone chiede a Venere il cinto d'amore», 1820-1825, Sala dell'Iliade, Palazzo Pitti, Firenze. Luigi Sabatelli, «Giove che chiama a raccolta tutti gli dei», particolare della terza lunetta con l'Ozio, 1820-1825, Sala dell'Iliade, Palazzo Pitti, Firenze.