Per l’insegnamento del restauro

A Roma in un convegno una rassegna assai dettagliata delle tipicità della formazione di settore

La Fontana di Trevi a Roma
Giorgio Bonsanti |  | Roma

La Sala Dante dell’Istituto Centrale per la Grafica, dove il primo ottobre si è tenuto il convegno sull’insegnamento del restauro, è un luogo talmente inimmaginabile che non si riesce a descriverlo. Su uno dei lati, le finestre sono letteralmente parte attiva della Fontana di Trevi, e chi vi si affaccia si vedrà fotografato dai telefonini dei turisti.

Il convegno (2011-2021: dieci anni di riforma dell’insegnamento del restauro) è stato promosso dalla «Commissione tecnica per le attività istruttorie finalizzate all’accreditamento delle istituzioni formative e per la vigilanza sull’insegnamento del restauro»: si chiama così e nei cinque anni in cui sono stato presidente ho avuto difficoltà a memorizzarne il nome. Chiamiamola più semplicemente «Commissione per l’insegnamento del restauro».

È una Commissione interministeriale fra Ministero della Cultura e Ministero dell’Università e della Ricerca istituita dall’art. 5 del DM 87 del 26 maggio 2009, quello che ha regolamentato appunto l’insegnamento del restauro, stabilendo che richiede un percorso di laurea magistrale quinquennale a ciclo unico (in altre parole, non si può prendere una «laurea breve» di tre anni, e dopo magari decidere di aggiungerne altri due).

L’insegnamento è impartito dalle tre scuole di alta formazione del MiC (Icr, Opd, Icpal), dalle Università, dalle Accademie d’Arte, da Enti terzi (cioè, chiunque sia stato riconosciuto in possesso dei requisiti necessari). Al momento attuale, risultano accreditati 27 soggetti. Le domande di accreditamento sono esaminate dalla Commissione che si compone di cinque membri di nomina MiC, di due a nomina Mur, uno Cun (Consiglio Universitario Nazionale), uno Afam (Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica), uno dall’Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario); più il presidente designato congiuntamente dai due Ministeri, che nei cinque anni dal 2016 ad oggi ero io.

Dopo l’esame condotto sulle carte e la relativa emissione di parere, la Commissione dovrebbe condurre «verifiche in concreto» presso le istituzioni. In altre parole, controllare se i requisiti dichiarati sono reali e se sono tuttora in essere. Questa fase nell’attività della Commissione, senza la quale lo stesso parere emesso in prima istanza non ha compiuta validità, in realtà fin qui è stata osservata in un numero ridottissimo di casi, perché la Commissione non è finanziata; e come si fa in tal caso a condurre le «verifiche in concreto», cioè sul posto? Si era finalmente compiuto un passo decisivo stabilendo che le spese sarebbero state a carico delle istituzioni visitate, ma poi è arrivato il Covid-19, e le verifiche in concreto già pianificate per 2020 e 2021 non sono state eseguite; ci penserà la prossima Commissione.

Gli interventi, alla presenza dei due direttori generali Mario Turetta (Mur) e Gianluca Cerracchio (Mur), hanno offerto una rassegna assai dettagliata delle tipicità del settore, luci e ombre, illustrate anche in un documento di valutazione e di intenti presentato dalla Commissione ai direttori generali l’aprile scorso.

La mattina ha visto interventi di organi e istituti ministeriali, mentre il pomeriggio ha dato la parola a rappresentanti delle istituzioni accreditate, compresi anche gli interventi di due giovani laureate e uno proposto da due giovani funzionarie della Direzione Generale Educazione e ricerca del MiC (Taloni e Tropea), ricco di informazioni comparate fra la situazione italiana e i modelli di altri Paesi.

La prossima Commissione dovrà prendersi cura della pubblicazione degli atti che risulterà preziosa nell’offrire un quadro completo della situazione dell’insegnamento del restauro al termine dei primi dieci anni di applicazione del DM 87. Tutto il materiale che affluisce alla segreteria della Commissione da parte dei singoli soggetti accreditati dovrà confluire su una piattaforma informatica accessibile.

Dovrà contenere tutto il vissuto risultante da questa prima fase, che ha laureato alcune centinaia di restauratori: troppi? Pochi? Certo non troppi, se in Italia il restauratore assumerà finalmente le funzioni, molte delle quali inedite, che ne fanno una figura professionale essenziale in un momento come l’attuale: la conservazione dei singoli manufatti deve esser parte di un’attenzione allargata alle necessità del pianeta di cui diveniamo sempre più consapevoli.

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