Per Burri Ravenna era una città d’oro
Un centinaio di opere dell’artista tifernate, a partire dai primi anni Cinquanta, in mostra al Museo d’Arte della città romagnola. Intervista al curatore Bruno Corà

Forse il simbolo della mostra «BurriRavennaOro», dal 14 ottobre al 14 gennaio 2024 al Mar-Museo d’Arte della città di Ravenna, è un’opera non trasportabile ma collocata a pochi chilometri nella città romagnola. Si tratta del «Grande Ferro R (rosso)», lavoro che Alberto Burri (Città di Castello, 1915-Parigi, 1995) realizzò nel 1990 a completamento del Palazzo delle Arti e dello Sport firmato dagli architetti Francesco Moschini e Carlo Maria Sadich.
A Burri l’opera fu commissionata da Raul Gardini, all’epoca patron del Gruppo Ferruzzi Spa, per intercessione proprio di Moschini che è stato coinvolto nella mostra attraverso il prestito di materiali e un testo nel catalogo stampato da Corrado Petruzzi di Città di Castello, che ha collaborato con Burri per l’intera carriera. Ma la mostra racconta molto e non solo del periodo ravennate di Burri, come spiega il curatore Bruno Corà, presidente della Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri.
Come nasce e si sviluppa il rapporto tra Burri e Ravenna?
Il rapporto è un po’ il cuore della rassegna che tocca, in modo pressoché cronologico, l’intera sua produzione. Siamo alla fine degli anni ’80 e il suo avvicinamento alla città romagnola avviene a partire da un primo invito di Claudio Spadoni: lo storico dell’arte chiamò Burri per una mostra e lui preparò, nel 1988, il ciclo di dipinti su cellotex «Neri a San Vitale», sei grandi monocromi ad acrilico di colore nero di oltre due metri di ampiezza. Il ciclo diede modo a Burri di sviluppare anche una produzione di opere grafiche, una ventina delle quali è al Mar.
Come si sviluppa il rapporto con Ferruzzi-Gardini?
Avvenne per intercessione dell’architetto Moschini, che era un consulente di Gardini. In mostra esponiamo documenti e i sei bozzetti sulla prima committenza di Gardini per il gruppo agroalimentare Ferruzzi. Burri doveva decorare due ampie superfici dell’azienda, ma tutto si interruppe per il suicidio dell’imprenditore avvenuto il 23 luglio 1993 a Milano.
Nonostante l’interruzione Burri proseguì autonomamente la serie di cellotex, composta da dieci lavori, chiamata «Nero e Oro» (1992-93) e ispirata alla cultura musiva di Bisanzio. A Ravenna non ci sono perché, pur conservati agli Essicatoi del Tabacco di Città del Castello, le volontà dell’artista ne impediscono il prestito per cento anni. Dello stesso periodo finale della carriera esponiamo cellotex coevi sempre realizzati con l’oro in foglia. Abbiamo intitolato la mostra in questo modo perché l’oro è pressoché sempre presente nella produzione di Burri, nei sacchi, nelle combustioni, nei cretti, nei cellotex.
Quali altri opere sono esposte?
Esempi della produzione, in tutto un centinaio, a partire dai primissimi anni ’50. Ci sono copertine e pagine interne dei 17 libri d’artista che realizzò con il poeta Emilio Villa. Burri con lui ebbe un piccolo screzio perché l’amico, per campare, ogni tanto vendeva una parte di queste che erano vere e proprie opere autonome uniche. Ci sono anche numerosi elementi grafici (la grafica per lui era fondamentale: nel 1973 devolve il Premio Nazionale dei Lincei per la grafica al restauro dell’Oratorio di San Crescentino a Morra, vicino a Città di Castello, dove sopravvivono affreschi di Luca Signorelli), l’intera documentazione del «Grande Ferro R», compresi bozzetti e fotografie.
A proposito di questa scultura, a Ravenna ci sono polemiche periodiche per il suo «utilizzo» e per la condizione.
Verrà avviato un restauro del «Grande Ferro», di colore rosso minio con una graduazione fissata dall’autore stesso. Il Comune si è impegnato per l’eliminazione delle superfetazioni.
La Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri come prosegue nella valorizzazione dell’artista?
Stiamo lavorando su precisi nuclei: ad esempio a Gibellina, in Sicilia, vista la presenza del «Grande Cretto», abbiamo analizzato i cretti, a Pistoia abbiamo sottolineato il rapporto di Burri con i poeti amici Sinisgalli, Villa, Ungaretti che apprezzava di più dei pur grandi critici come Argan, Calvesi, Brandi. A Perugia si è appena chiusa la rassegna «Nero Perugino». A Città di Castello stiamo iniziando l’iter per intitolare una piazza al maestro: con il Comune costruiremo un edificio interamente progettato da Burri.