Paura: come prima? Più di prima?

A Venezia che cosa è cambiato nel turismo con la pandemia? Ne parla l’assessora Paola Mar

Musei, monumenti e caffè storici, come il Quadri, hanno riaperto seppur con qualche difficoltà
Lidia Panzeri |  | VENEZIA

Veneziana, classe 1951, laureata in Storia, Paola Mar ha trascorso dieci anni a scartabellare i documenti d’archivio. Di Venezia conosce tutto, anche quello che è nascosto sotto le fondamenta e tutte le mutazioni, in positivo e in negativo, dell’acqua che, «a Venezia, sostiene, a differenza di altre città come Budapest, unisce e non divide».

Dal 16 giugno 2015 è in Giunta con delega alla toponomastica (con i famosi «nizioleti», targhe dipinte con le indicazioni stradali, sempre gli stessi nei secoli anche quando mutava l’edilizia), al Decentramento, ai Rapporti con la Municipalità e soprattutto al Turismo. Nell’occhio del ciclone in tempi di Coronavirus, la Mar è assediata dalle interviste (subito prima di noi, una troupe televisiva francese). La domanda è quasi ovvia: sono cambiati la cultura e il turismo? Il Coronavirus ha avuto un impatto paragonabile a quello della disastrosa acqua alta del 12 novembre? «Il Comune aveva già predisposto un piano per contenere il turismo giornaliero che prevedeva prenotazione online, ci spiega, oltre al monitoraggio tramite cellulari dei flussi e un ticket di ingresso. Lo si riprenderà in tempi migliori, ma intanto a causa del Coronavirus la gente ha imparato a stare in fila e a prenotare i servizi. Servirà in futuro», chiosa.

Davvero nulla è cambiato?
Sul fronte culturale tutte le istituzioni ora sono riaperte, anche se in modo ridotto. Le Gallerie dell’Accademia, la Guggenheim, la Scuola di San Rocco, le sale apollinee della Fenice. Seguiti da Palazzo Cini, Palazzo Grassi e Punta della Dogana. Per i Musei Civici il Ducale, il Museo del Vetro e quello del Merletto sono stati aperti il sabato e la domenica per tutto il mese di giugno. Ci aspettiamo una ripresa a pieno regime con la Mostra del Cinema.

Sempre e di nuovo lo stesso turismo?
Il turismo veneziano è per il 15% italiano e per l’85% internazionale. Di questo, il 15% arriva dagli Stati Uniti. Quest’ultimo è ormai irrecuperabile per il 2020. La risorsa oggi è costituita dalle spiagge frequentate da austriaci e tedeschi. La permanenza a Venezia o a Mestre è in media di due notti. Per i francesi si sale a tre. In questo contesto occorre rovesciare l’offerta, privilegiando quello che i vari turisti si aspettano, a seconda della loro cultura. Ad esempio stiamo lavorando con un’agenzia cinese che organizza percorsi per i suoi turisti. A partire dal fatto che loro apprezzano l’alba e sono indifferenti al tramonto... Poi organizzano percorsi che rintracciano la loro presenza a Venezia. Ci sono tracce cinesi ovunque...

Nel fine settimana del primo giugno, con la riattivazione dei treni regionali, Venezia è stata letteralmente invasa alla vecchia maniera. Molti i turisti con colazione al sacco.
Alcune centinaia di persone hanno anche pernottato ed è stato un segnale importante.

Non spera che il Coronavirus abbia anche ricadute «positive» sul turismo? Che cosa succederà agli alloggi temporanei a uso turistico, che negli ultimi tempi hanno stravolto Venezia e non solo?
Il 27 aprile è stato firmato un protocollo d’intesa tra Comune, Università Iuav, Confedilizia Venezia, Abbav e Agata (due associazioni che si occupano di strutture turistiche) per promuovere l’affitto agli studenti universitari e a prezzi calmierati degli alloggi rimasti liberi. Recentemente alcuni negozi di vicinato sono subentrati a quelli che vendono paccottiglie per turisti, anche in alcune zone intorno a Piazza San Marco. Del resto la Giunta ha detto no a nuovi alberghi come a nuovi ristoranti.

A che cosa mirate, che cosa volete davvero?
Trovare il giusto equilibro tra innovazione e tradizione. La città si perde se si chiude in se stessa.

© Riproduzione riservata Paola Mar
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